Category Archives: Sante Messe

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Exsúrge, quare obdórmis, Dómine? 20-02-2022. Di don Giorgio Lenzi (IBP)

Exsúrge, quare obdórmis, Dómine? 20-02-2022. Di don Lenzi (IBP)

di redazione

Riportiamo le foto della Santa Messa di domenica 20-02-2022, presso la Chiesa di San Cristoforo (Via D’Argillano n.21 – 63100 AP). Il nostro Coetus Fidelium Beato Marco da Montegallo è stato ospitato dalla Confraternita della Buona Morte del Priore Giancarlo Tosti, per celebrare il rito romano antico nella forma cantata, Dominica in Sexagesima (Exsúrge, quare obdórmis, Dómine?) con il nostro regolatore Don Giorgio Lenzi (IBP) sacerdote dell’Istituto Buon Pastore e Procuratore Generale per lo stesso con la Santa Sede. Al servizio all’altare Giuseppe Baiocchi (chierichetto), Michele Carloni (turiferaio), all’organo il Maestro Lisa Colonnella, mentre come cantore abbiamo avuto il Maestro Massimo Malavolta. 
Don Giorgio Lenzi (IBP) ci parla di questo tempo molto antico, della Sexagesima, iniziato domenica scorsa e mantenuto per secoli nel calendario liturgico della Chiesa, oggi è scomparso per la riforma liturgica avvenuta dopo il Concilio Vaticano II. Questo tempo, della durata di tre domeniche, precede la Quaresima: una fase intermedia che serve per preparare al nuovo periodo il fedele.
Perché sono chiamate così? Perché indicano rispettivamente la settima, la sesta e la quinta domenica avanti quella di Passione.
La Chiesa, dalla domenica di Settuagesima fino al Sabato Santo, tralascia nei divini uffizi l’Alleluia, che è voce di allegrezza, ed usa paramenti di color violaceo, che è colore di mestizia, per allontanare con questi segni di tristezza i fedeli dalle vane allegrezze del mondo ed insinuare in essi lo spirito di penitenza.
Nei divini uffizi della settimana di Settuagesima, la Chiesa ci rappresenta la caduta dei nostri progenitori, Adamo ed Eva, ed il loro giusto castigo; negli uffizi della settimana di Sessagesima ci rappresenta il diluvio universale mandato da Dio per castigare i peccatori; negli uffizi dei primi tre giorni della settimana di Quinquagesima ci rappresenta la vocazione di Abramo, ed il premio dato da Dio alla sua obbedienza ed alla sua fede.
Nella domenica odierna il Signore ci parla di una parabola: quella del seme che cade in luoghi diversi, portando un frutto differente. Il Signore, cosa rara, questa volta vuole spiegarci il significato della parabola. Il seme è la parola Santa di Dio: questa analogia del seme è la parola più adatta a rappresentare la divina parola della sua potenza, dove i grani, i sementi, sono la cosa più piccola che noi conosciamo nella nostra vita quotidiana. Questi granelli contengono una virtù potentissima e poderosa: quella di produrre una pianta e con un piccolo seme possono nascere altre piante. Quel seme è l’immagine buona della parola di Dio, una parola che si trasmette, che si dice, che si insegna. Lo stesso figlio di Dio nell’eternità non è altro che la parola che esce dalla bocca dell’eterno. Ebbene quella parola porta un frutto immenso. Ed allora il seme diviene la parola insegnata da Cristo. La parola di Dio dunque, è la verità rivelata e insegnata dalla Santissima Trinità beata agli uomini per via naturale (attraverso alcuni aspetti della creazione) e per via soprannaturale attraverso la manifestazione di Dio che si è manifestato più volte lungo la storia dell’umanità e questa rivelazione è terminata con la morte dell’ultimo degli apostoli San Giovanni Evangelista.
La parola di Dio deve essere contestualizzata e insegnata dall’autorità competente, altrimenti si scivolerebbe nell’idolatria. Le fonti della rivelazione sono tre: la Sacra Pagina (la parola di Dio), che deve essere accompagnata dalla tradizione della Chiesa; il Magistero della Chiesa che coordina e insegna – aderendo a quella Verità – il messaggio Cristico dottrinale e morale.
In questa parola c’è una semenza piccola, ma preziosa: il divino agricoltore, per mezzo della Santa Chiesa (sacramenti, preghiera, messa), sparge continuamente sul terreno questa semente e quando il terreno è fecondo di buona volontà ed onestà, ed è abitato dalla Grazia di Dio, allora può far sorgere un uomo nuovo.
Noi non potremo mai comprendere, qui sulla terra, questo miracolo, noi vediamo solo la limitatezza della nostra natura umana, ma abbiamo la fede e sappiamo che i sacramenti e tutto ciò che viene da Dio serve a questo. Accogliamo dunque quel seme, che santifica il mondo.

Dunque chi trasformò il mondo, facendolo passare dalla bruttezza del paganesimo, alle bellezze del mondo cristiano – un mondo cristiano che si distrugge sempre di più, ma di cui abbiamo le testimonianze ovunque -, riuscì nell’impresa grazie alla parola di Dio, predicata dagli apostoli, trasmessa poi dai suoi successori, fino al 2022, ovvero fino ad oggi.
Ed oggi, appunto, cosa accade? Più di tutte le epoche, questo terreno (un tempo fertile), si sta chiudendo: non accoglie più quel seme: è una società egoista, ci stanchiamo facilmente della parola di Dio o cerchiamo di adattarla a seconda delle epoche, a quello che ci fa più comodo. I protestanti hanno iniziato, già da diversi secoli a dare un’interpretazione particolare, restringendo il tutto unicamente ai testi biblici. Proprio questa società liquida, figlia del relativismo e dell’idealismo cartesiano, fa essere tutto in discussione, tutto in un moto perenne e continuo, in un unicum orizzontale, ateo, arido.
Dunque la terra si chiude, è una terra egoista: abbandoniamo facilmente la parola di Dio, affinché sia facilmente divorata dalle cornacchie moderne, come quella del liberalismo, dell’occultismo: rovi delle abitudini peccaminose. I peccati di un tempo oggi vengono continuamente posti in discussione, attuando quel ribaltamento del thelos, del fine appunto, che in passato reggeva la società cristiana. Questa falsa libertà moderna, che si accomuna unicamente a ciò che noi vogliamo, ha inaridito il mondo, la terra. La nostra fede non può essere soffocata dalle tante altre mode del mondo – quindi del maligno – che imperversano sempre di secolo in secolo. Cosa fare dunque? Basta accogliere l’insegnamento di Cristo nella nostra vita, puro, senza nessuna modifica, poiché Gesù Cristo è lo stesso, ieri, oggi e anche lo sarà domani. La nostra sfida personale sarà proprio quella di vivere secondo regole immutabili, in un mondo in continua schizofrenia e in continuo movimento. Ed ecco allora che questo tempo duro, che ha lo scopo di prepararci alla quaresima e dunque alla penitenza, ci viene in aiuto per allenare il nostro cuore e la nostra anima al seme fecondo di Dio.
 Coetus Fidelium Beato Marco da Montegallo – Riproduzione riservata

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Ómnis terra adóret te del 16-01-2022. Di don Giorgio Lenzi (IBP)

Ómnis terra adóret te del 16-01-2022. Di don Giorgio Lenzi (IBP)

di redazione

Riportiamo le foto della Santa Messa di domenica 16-01-2022, presso la Chiesa di San Cristoforo (Via D’Argillano n.21 – 63100 AP). Il nostro Coetus Fidelium Beato Marco da Montegallo è stato ospitato dalla Confraternita della Buona Morte del Priore Giancarlo Tosti, per celebrare il rito romano antico nella forma cantata, II Domenica dopo l’Epifania (Ómnis terra adóret te) con il nostro regolatore Don Giorgio Lenzi (IBP) sacerdote dell’Istituto Buon Pastore e Procuratore Generale per lo stesso con la Santa Sede. Al servizio all’altare Giuseppe Baiocchi (chierichetto), all’organo il Maestro Lisa Colonnella, mentre come cantore abbiamo avuto il Maestro Massimo Malavolta. 
Dall’Omelia don Lenzi ci parla di come in questi giorni, nella liturgia della Chiesa, dopo le feste di Natale la Chiesa non può proporre altri testi se non quelli che sono la continuazione di ciò che abbiamo celebrato il giorno dell’Epifania. In effetti in tale festività decorsa, nella celebrazione dell’arrivo dei Magi (miracoli epifanici) con questa manifestazione del Signore ai grandi della terra, esistono tre grandi manifestazioni della divinità del Figlio di Dio. Questi tre miracoli, secondo la tradizione della Chiesa, vengono celebrati il sei Gennaio, proprio perché avvennero tutti in quella data specifica. Tali miracoli, riassunti nel Magnificat epifanico, sono la stella che condusse i Magi al Presepe; il vino che fu prodotto a partire dall’acqua durante un matrimonio a Cana di Galilea; ed infine nel Giordano il Cristo che ebbe il Battesimo in vista della nostra salvezza. Dunque la Chiesa non potendo leggere tutti i testi relativi a questi tre miracoli, li divide nei giorni successivi.
Dunque in questa seconda Domenica dopo l’Epifania, si racconta dell’intervento miracoloso che vide il Cristo nel contesto del banchetto di nozze di alcuni amici che lo avevano invitato nella località di Cana di Galilea – forse furono le nozze di San Giovanni (che poi diventerà l’apostolo amatissimo e più giovane). Se con il primo miracolo, ovvero della Cometa, si percepisce l’importanza della natura divina del suo Creatore; se durante il battesimo di penitenza (non era certo un sacramento) che riceve dalle mani di Giovanni Battista, il Cristo ci indica la sua volontà della sua scelta; nel miracolo di questa domenica, seppur di carattere materiale, il Cristo ci invita alla riflessione: il vino alla tavola degli invitati era terminato ed egli tramutando l’acqua in vino esaudisce il desiderio degli ospiti del banchetto. L’evento è un momento positivo della vita dell’uomo, poiché il matrimonio è inscritto nella vita naturale ed è benedetto da Dio, quanto atto naturale dell’umanità. L’uomo, così come è scritto nella sacra scrittura, lascerà suo padre e sua madre e si unirà ad una donna e in un altro passaggio è anche scritto “crescete e moltiplicatevi” e quest’ultima parola ci deve far comprendere come il tutto sia regolato fra l’unione tra uomo e donna.
Da qui, con la fondazione della Chiesa, il matrimonio diventerà uno dei sette sacramenti: ovvero uno dei sette principali canali della grazia divina. Secondo alcuni teologi, con le nozze di Cana, il Cristo istituisce il sacramento del matrimonio, elevando la naturale unione ad una unione di santità. Da questo momento la Madonna si fa mediatrice fra l’umanità bisognosa, non solo di esigenze spirituali, ma piena di necessità materiali, sollecitando la potenza di Dio anche in alcuni elementi della vita ordinaria, ma che sono necessarie e che possono apparire difficili in un dato momento. La mutazione dell’acqua e del vino rivela la potente intercessione di Maria (advocata nostra) e il potere divino di Cristo che è Signore del Creato. L’evento può anche essere letto come un’anticipazione simbolica di quel miracolo spirituale che è fondamentale nel culto della Chiesa e che è il sacramento della produzione dell’Eucarestia: la transustanziazione che si ripete sui nostri altari, dove la sostanza del pane e del vino, grazie al potere della Chiesa muta nella sostanza del corpo e del sangue di Nostro Signore.
Difatti il piano di Dio è scritto per l’eternità, da sempre. Questa caratteristica è fondamentale: il Signore, Verbo incarnato, è cosciente del suo ruolo di salvatore dal primo istante. Conosce tutto dal presepe, fino alla Croce, conosce tutta la storia dell’umanità e della Chiesa ed in ogni singolo istante, egli sa cosa accadrà. Non esiste in Cristo una presa di coscienza progressiva del suo ruolo. E questo è fondamentale. Purtroppo oggi serpeggia una idea cristiana opposta a questa verità di fede, ed essa è di natura protestante. Questa visione distorta vuole vedere il Cristo come un uomo come tutti gli altri, che diversamente piano piano si rende conto che ha un ruolo sociale importante, che forse è anche aiutato da alcune entità spirituali ad essere buono o gentile. Ebbene questo non è il Gesù Cristo cristiano, non è il Gesù Cristo del Vangelo. Infine vi è la teoria del Cristo che si scopre Messia a poco a poco e chiaramente anche parzialmente abbracciata dalla teologia modernista e tale errore viene continuamente ribadito sulla consapevolezza di una “coscienza cristica” quasi da supereroe dei fumetti.
Secondo questi teologi, secondo molti cristiani, il Cristo Nostro Signore, si risveglia sempre più Messia, come se non lo fosse dal primo giorno quando la Madonna ha detto “si”! e lo Spirito Santo si è incarnato nel suo ventre. Naturalmente è una assurdità che distrugge l’idea della divinità cosciente di Gesù, l’idea del piano della provvidenza, che ha un inizio preciso. Viene distrutta, da questa tesi, anche l’idea della redenzione volontaria: difatti il Cristo si troverebbe in una serie di eventi che lo conducono poi forse sulla croce per noi, quando invece tutto ciò era stato previsto da Dio Padre e dallo Spirito Santo. Spesso, ancora, si sente dire – anche da grandi ecclesiastici – che Cristo muore da laico, che il Cristo non aveva sacerdozio, che il Cristo sulla croce non ha offerto sacrificio, ma il miracolo delle nozze di Cana, ci insegna esattamente il contrario: ci insegna che Cristo è esattamente padrone della sua onnipotenza divina, per quanto velata (da ragioni di convenienza) dalla natura umana. Difatti se il Cristo si fosse manifestato dal primo giorno della sua onnipotenza divina, tutti coloro che erano presenti, non avrebbero nemmeno avuto il coraggio di avvicinarsi. Per questo vi è una pedagogia di insegnamento, di trasmissione e di svelamento progressivo, ma c’è una coscienza fin dal primo istante di questo potere.
Per questo il Cristo accetterà che i grandi della terra (i Magi) si mettano in ginocchio e gli offrano oro, incenso e mirra, davanti a suo cugino Giovanni Battista e davanti alla folla che assiste al suo battesimo e che vede il cielo aprirsi e la colomba discendere e la voce di Dio pronunciarsi in quel momento sulla divinità del Figlio. Il Cristo sa che è Dio, non scopre niente dalle sue tappe della sua vita, siamo noi che lo scopriamo attraverso le tappe della vita, quando lui decide di manifestarsi per insegnarci qualcosa o svelarci i tesori della vita spirituale, della salvezza o della Grazia Divina. Quanta grazia e quanta santità ognuno di noi può imparare da queste sacre pagine della liturgia odierna, utile per capire le verità di fede. Un coraggio che si scontra contro le avversità del mondo moderno.

 

 Coetus Fidelium Beato Marco da Montegallo – Riproduzione riservata

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Roráte coéli désuper del 19-12-2021. Di don Giorgio Lenzi (IBP)

Roráte coéli désuper del 19-12-2021. Di don Giorgio Lenzi (IBP)

di redazione

Riportiamo le foto della Santa Messa di domenica 19-12-2021, presso la Chiesa di San Cristoforo (Via D’Argillano n.21 – 63100 AP). Il nostro Coetus Fidelium Beato Marco da Montegallo è stato ospitato dalla Confraternita della Buona Morte del Priore Giancarlo Tosti, per celebrare il rito romano antico nella forma bassa, IV Domenica d’Avvento – (Roráte coéli désuper) con il nostro regolatore Don Giorgio Lenzi (IBP) sacerdote dell’Istituto Buon Pastore e Procuratore Generale per lo stesso con la Santa Sede. Al servizio Giuseppe Baiocchi (chierichetto).
Dall’Omelia don Lenzi ci parla di come siamo giunti alla fine del tempo dell’Avvento: pochi giorni ci separano dalla grande festa del Santo Natale. Ebbene questa grande festa fin dal VII secolo era lo spazio temporale che indicava la ciclicità dell’animo del culto divino. Nell’antica liturgia si prendono per mano gli antichi manoscritti e si parla del “cerchio dell’anno liturgico”.
L’attesa della venuta di Nostro Signore, nelle Quattro Domeniche d’Avvento, deve porsi in senso di sicurezza e non di incertezza: il nostro animo non vacilla, nonostante tutte le avversità della nostra vita di uomini peccatori, “viatori” per riprendere le parole di San Tommaso d’Aquino (1225 – 74). Questi uomini, ovvero noi, che camminiamo nell’eternità, ma siamo ancorati alle “cose” del mondo, devono carpire gli insegnamenti della Santa Madre Chiesa che indice un tempo di serenità, pieno di abbandono speranzoso alla provvidenza divina che ha tutto predisposto per la nostra salvezza. Giornate brevi, notti lunghe, scarsa la luminosità, il tempo può apparire mesto, perché la natura stessa – da qui osserviamo la saggezza della Chiesa -, ci invita a fermarci, a riflettere, a meditare, ad attendere pregando.
Proprio Maria e Giuseppe, nel loro peregrinare per cercare un luogo dove far nascere il salvatore, si fermeranno in quella grotta all’ombra. Attendiamo così la luce, quella vera, che illumina ogni uomo che ci si presenterà con la festività del Santo Natale: quella stessa luce che avremo in maniera definitiva quando finalmente conosceremo Dio.
Il figlio di Dio, venuto nella storia più di duemila anni fa, è centro della storia stessa. Non è un caso che gli storici parlano per fermare il lasso temporale identificandolo con precisione in a.C. e d.C.; non si tratta di una favola bella per i bimbi, ma si tratta di un evento storico epocale. Il Cristo poi, tornerà alla fine della nostra storia, con la fine del mondo. Non è un caso che α (alfa) e ω (omega) sono la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto greco: l’inizio e la fine, il principio e l’ultimo; ed Egli verrà per giudicare i vivi e i morti e il Suo Regno non avrà fine. La speranza della nostra fede riposta nel Signore è la certezza che la nostra anima spera, verso cui tende.
Aspettare e rinnovarsi nella venuta storica del circolo liturgico, ma aspettare anche il suo ritorno per la fine dei tempi. Queste due attese ci servono per concentrarci maggiormente sulla nostra anima, la quale deve prepararsi e purificarsi dallo spirito del mondo. Dobbiamo chiedere al bambinello che adoreremo nei nostri presepi e che baceremo con devozione nei giorni di Natale, di perdonarci, di purificarci. Spesso si cercano i peccati degli altri, con i grandi scandali, le grandi ingiustizie, oggi tutto si addita, ma in realtà ognuno di noi per evitare questi scempi, deve tornare a guardare se stesso e il proprio peccato personale. Perché qual è il rischio di ogni battezzato? Non arrivare pronto al giudizio di Dio. Dunque prepararci alla venuta del Natale, ci prepara anche alla venuta del giusto giudice alla fine dei tempi, ma queste due venute sono l’unica preparazione alla venuta molto più frequente e molto più comune che ognuno di noi può vivere, secondo le disposizioni che sono date dalla Dottrina della Chiesa e cioè la venuta di Dio nella nostra anima, attraverso i sacramenti, la grazia divina, il Dio Uno e Trino: la Santa Comunione nella quale riceviamo la pienezza nella grazia divina.

 

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Si iniquitáte observáveris del 24-10-2021

Si iniquitáte observáveris del 24-10-2021

di redazione

Domenica 24-10-2021, presso la Chiesa di San Cristoforo (Via D’Argillano n.21 – 63100 AP), il nostro Coetus Fidelium Beato Marco da Montegallo è stato ospitato dalla Confraternita della Buona Morte del Priore Giancarlo Tosti, per celebrare il rito romano antico nella forma cantata, XXII Domenica dopo Pentecoste (Si iniquitáte observáveris) con il nostro regolatore Don Giorgio Lenzi (IBP) sacerdote dell’Istituto Buon Pastore e Procuratore Generale per lo stesso con la Santa Sede. Al canto gregoriano abbiamo avuto il Maestro Claudio Bellumore e all’organo Diego Minnozzi, al servizio Giuseppe Baiocchi (chierichetto) e Daniele Paolanti (chierichetto).
In questi giorni si è celebra la memoria dell’anniversario della morte del beato Carlo d’Asburgo-Lorena (21 ottobre), una figura tanto cara al mondo cattolico.
Oggi oltre alla ricorrenza della festa liturgica di San Raffaele Arcangelo, in questa giornata di fine ottobre, il nostro sacerdote don Giorgio Lenzi (IBP) ci ha introdotto sulla materia dell’angelologia: un argomento di cui si sente sempre meno parlare, ovvero gli angeli. Il mese di ottobre è il mese dedicato agli Angeli, i quali possono far sorridere coloro i quali sono lontani dalla fede o dalla religione, oppure alcuni cristiani che – credendosi maturi – vogliono allontanare tutto ciò che può “apparire” loro – erroneamente – superstizioso o fantasista.

Fate ch’io vi segua sempre fedele, Mio caro Arcangelo San Raffaele.

Di contro, l’attuale catechismo della Chiesa Cattolica, riporta tutta una serie di paragrafi molto dettagliati e molto precisi sulla dottrina della Chiesa sugli Angeli. Per questo è importante conoscerli e non dimenticarli nella nostra vita di cristiani: non dobbiamo dimenticare che essi esistono, non dobbiamo dimenticare che la loro protezione (oltre al fatto che siano lì per lodare Dio perennemente nella gloria eterna) sulla terra è una verità di fede che non si può negare, senza cadere nell’errore. Per questo oggi ricordiamo tali Verità eterne della dottrina cristiana.

Il cantore Claudio Bellumore (a sinistra in terzo piano) e l’organista Diego Minnozzi (a destra in primo piano).

Quanto recitiamo, quanto cantiamo, il Credo – compendio di Verità della nostra fede – noi affermiamo che Dio è creatore del cielo e della terra, dunque sia delle cose materiali, sia l’atmosfera celeste e l’Universo. Ma è anche vero, come riportano le interpretazioni dei Padri della Chiesa, che il Cielo e la Terra non sono solo elementi materici, ma anche l’immagine spirituale di alcune cose create da Dio, il quale ha creato sì le cose aventi materia, ma anche quelle senza materia. Tra quest’ultime ci sono gli Angeli, gli elementi “celesti”. Non è un caso che lo stesso Credo poi riprenda “creatore delle cose visibili e invisibili”. Ed ecco che gli angeli sono creature invisibili, che diventano visibili per volontà di Dio. Certamente noi abbiamo l’esperienza continua della nostra anima; inoltre abbiamo acquisito attraverso la rivelazione, l’esperienza di tanti Santi, apprendendo come vi siano entità spirituali – separate da noi – che sono assolutamente reali.

Gli Angeli dunque sono i servitori di Dio, puri spiriti, attestati dai testi sacri e dalla tradizione costante della chiesa: nell’antico testamento numerose sono le apparizioni angeliche. Lo stesso San Raffaele che festeggiamo oggi, è un personaggio biblico, che viene inviato da Dio per guarire Tobia con il celebre pesce miracoloso che spalma sui suoi occhi divenuti ciechi – per questo è patrono anche dei medici. Successivamente gli angeli appaiono anche nel nuovo testamento e nei Salmi: pensiamo a Gesù nel giardino del Getsemani a Gerusalemme che viene consolato da un Angelo, poiché l’evangelista non si sarebbe divertito a parlare di cose che non esistono. Al momento della nascita di nostro Signore, sono gli Angeli che cantano il Gloria, e sono sempre gli stessi che vanno ad annunciarlo ai pastori.

Gli Angeli sono presenti anche nell’Apocalisse, dove la loro presenza è fortissima; lo stesso San Paolo, nella sua Lettera ai Galati (1,6-10) affermò come «Se anche un angelo vi annunciasse un Vangelo diverso da quello che vi è stato dato, sia anatema», proprio perché la dottrina è quella che ci ha insegnato nostro Signore Gesù Cristo. La Tradizione della Chiesa è costante, nei Padri, nel Magistero e nella Santa Liturgia. Per questo di fronte a tutte queste testimonianze sarebbe da stolti negare la loro presenza.
Quando noi osserviamo la natura del Creato, già possiamo intravvedere la gradualità di questo: si parte dalle creature inanimate, fino a crescere sempre di più, fino a quelle più complesse (con uno spirito di vita), ovvero gli animali e infine l’uomo il quale è all’apice in immagine e somiglianza di Dio sia nella forma materiale, che spirituale. Successivamente si dovrebbe effettuare il salto dall’uomo all’essere supremo increato che è Dio. Ebbene se notiamo, viene a mancare un elemento di passaggio: un elemento che sia sì creato, ma che sia composto unicamente da spirito, senza il bisogno della materia. Ecco gli Angeli, i quali fanno parte anch’essi della piramide magnifica della perfezione del Creato. Essi sono solitamente suddivisi in schiere, che seguono determinate gerarchie dalle quali traggono caratteristiche peculiari. La classificazione più comune risale al De coelesti hierarchia dello Pseudo-Dionigi, che li suddivide in tre gerarchie, ognuna delle quali contenente a sua volta tre ordini o cori, per un totale di nove tipologie di angeli: Serafini, Cherubini e Troni; Dominazioni, Virtù e Potestà; Principati, Arcangeli e Angeli.
Essendo composti di purissimo spirito, assomigliano ancora di più all’Essere Supremo del Creato (noi uomini siamo invece le creature materiali più simili a Dio).
Gli Angeli hanno due funzioni: una funzione strettamente legata a Dio, poiché sono i suoi servitori e quindi cantano presso di lui per l’eternità la sua grandezza, la sua bellezza, la sua lode. Essi ci ricordano come noi dobbiamo ringraziare il Signore per tutte le sue cose che ci dona. Ma essi hanno anche una funzione verso di noi ed è per tale compito che hanno preso questo nome: Angelo, angelus, ággelos (dal greco ἄγγελος “io annuncio”). Non è un caso che Dio li utilizza anche per annunciare eventi e/o fatti (come l’annunciazione alla Vergine Santa, per la venuta del salvatore sulla terra). Annuncio agli uomini dunque, ma anche protezione verso di noi. Ogni cristiano, a partire dal proprio battesimo, viene assistito da un Angelo che viene chiamato “Custode”, appunto Angelo Custode: guardiano della nostra anima e della nostra vita. Purtroppo alle volte non viene ascoltato, ma lui è lì e dobbiamo avere un grande rispetto e un grande amore per lui.
Ebbene sì! Gli Angeli sono migliaia in infinito, superano il numero degli uomini sulla terra, poiché alcuni di essi sono deputati anche alla protezione di cose specifiche. La Madonna stessa disse ai Pastorelli di Fatima, che vi era un Angelo – protettore del Portogallo – che si sarebbe manifestato: e così avvenne! Ci sono Angeli protettori di Chiese e perfino di Diocesi. Essi saranno sempre a guardia del nostro corpo e per aiutarci nelle difficoltà anche e soprattutto di carattere spirituale.
Lo stesso catechismo di San Pio X affermava come bisogna possedere una grande ammirazione della loro perfezione e della loro dignità e mai dimenticarci che sono costantemente accanto a noi in ogni momento, anche quando crediamo di essere soli, dobbiamo avere gratitudine per l’aiuto che forniscono a ciascuno di noi e questa gratitudine, deve sfociare in questa “docilità” data dall’ascolto e dalla frequentazione di buone influenze. Non è così facile, ma i grandi Santi ci sono riusciti: vivevano sempre in presenza di Dio e in presenza del loro Angelo Custode.
Proprio la loro presenza benevola, dovrebbe metterci in guardia ancora di più dal peccato di offendere Dio, che poi di riflesso ferisce anche le altre creature spirituali, come gli Angeli, che spesso sono lì, ma che non possono intervenire. Questo pensiero deve divenire per noi salutare, deve aiutarci ad essere più santi e ciò può avvenire anche tramite la preghiera dedicata a loro: «Ángele Dei, qui custos es mei, me, tibi commissum pietáte supérna, illúmina, custódi, rege et gubérna. Amen» («Angelo di Dio, che sei il mio custode, illumina, custodisci, reggi e governa me che ti fui affidato/a dalla Pietà Celeste. Amen»).
Non esitiamo dunque a disturbare i santi Angeli, belle espressioni della potenza di Dio e dell’esistenza delle cose spirituali: amiamoli ed adoriamoli. Uniamoci a loro che a miriadi assistono al Santo Sacrificio della Messa e che ad ogni celebrazione si riuniscono intorno all’Altare di Dio.
 Coetus Fidelium Beato Marco da Montegallo – Riproduzione riservata

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Inclína Dómine del 05-09-2021

Inclína Dómine del 05-09-2021

di redazione

Domenica 05-09-2021, presso la Chiesa di San Cristoforo (Via D’Argillano n.21 – 63100 AP), il nostro Coetus Fidelium Beato Marco da Montegallo è stato ospitato dalla Confraternita della Buona Morte del Priore Giancarlo Tosti, per celebrare il rito romano antico nella forma cantata, con il nostro regolatore Don Giorgio Lenzi (IBP) sacerdote dell’Istituto Buon Pastore e Procuratore Generale per lo stesso con la Santa Sede.
Al canto gregoriano ritroviamo il Maestro Edoardo Belvederesi e all’organo Luca Migliorelli, al servizio Giuseppe Baiocchi (cerimoniere), Maurizio Seghetti (chierichetto) e Daniele Paolanti (turiferario).
Durante l’omelia, don Lenzi (IBP) ci ricorda come nei Vangeli di queste domeniche, sono spesso narrati i miracoli che nostro Signore ha compiuto nelle sue peregrinazioni in Terra Santa durante le sue predicazioni. Dunque il figlio di Dio, si è fatto uomo per la salvezza di tutti, guarendo lebbrosi e infermi al suo passaggio. In altri tratti del Santo Vangelo ci sono persone in necessità che, per ottenere la grazia, devono riconoscere che Gesù Cristo è figlio di Dio, implorarlo e quindi il Signore, mosso da compassione, si reca da quegli individui e compie i propri miracoli.
Ricordiamo, ad esempio, il figlio del centurione, in cui il Signore grandemente commosso dall’umiltà di questo uomo potente che implora il miracolo per la guarigione del figlio, che è moribondo. Dunque il Cristo accoglie in questi accadimenti, l’atto di Fede ed opera prodigi.
Nel racconto del Vangelo odierno, di contro, la situazione è atipica: l’amabile Signore viene Egli stesso, verso chi ha necessità: lo fa di sua volontà, poiché non vi è supplica. Non c’è nessuno che arriva a lui per chiedergli una grazia. Egli non si manifesterà in tutta la sua potenza in un solo colpo, ma con grande umiltà, lo farà progressivamente, in maniera propedeutica, in maniera didascalica, attento a tutti gli aspetti della nostra psicologia umana. Così ritrovandosi all’interno di un corteo funebre, in lutto per la morte di un giovanissimo (il figlio unico di una madre vedova), che – nella società dell’antichità, significava davvero una grande catastrofe sociale sulla singola famiglia. Il Cristo, in presenza della donna (che aveva già perduto il pilastro della famiglia, con la scomparsa prematura del marito) scruta il suo cuore, vede i suoi pensieri e sa che questa donna ha perso tutto.
Nel piano salvifico di Dio, questo è il momento in cui il Cristo deve rivelarsi in un certo modo, con un’estrema opera di compassione e di misericordia. Il suo cuore si abbassa allo stesso livello di quello della persona che soffre, ed è così che in tale passaggio evangelico, il Signore ci insegna a consolare coloro che sono nel dolore e nella disperazione, affinché vi sia sempre la speranza per una beatitudine eterna. Oltre alla mera consolazione, il Cristo vuole manifestare di per sé la propria onnipotenza: Egli è Signore di tutte le cose, Signore del Creato, Maestro della Vita e della Morte, Padrone della Natura in tutte le sue forme e in tutti i suoi aspetti.
Dunque come avviene il miracolo odierno? Con la mano del Cristo che tocca con le sue sacre carni, la bara di questo fanciullo morto imponendo la sua suprema volontà, affinché giovanissimo, risorga! Compiendo questa resurrezione nel bel mezzo di questo corteo funebre, ci dimostra fin da ora, quanto possa essere forte la sua opera di redenzione, che porterà il sigillo finale con la sua resurrezione, ci manifesta come la possibilità della resurrezione del Figlio di Dio fattosi uomo (homo-homini-Deus), porti anche la possibilità concreta della resurrezione di ogni battezzato alla fine dei tempi, il giorno del Giudizio Universale – elemento che noi professiamo nel Credo ogni volta che noi lo recitiamo o lo cantiamo. Possiamo anche vedere, in questo miracolo, come il sacratissimo corpo di Gesù è potentissimo: un corpo di uomo unito alla divinità glorificata e reso potente da questa unione indissolubile con Dio. Per questo il corpo di Nostro Signore è il corpo più adorabile sulla terra: per questo le reliquie della passione, che sono entrate in contatto con il sangue e con la carne di Cristo, sono reliquie che non si venerano, ma adorano, poiché entrate in contatto con la divinità stessa.
La sua è parola umana, ma anche parola divina che ordina “fanciullo alzati”: ordina la resurrezione e questa imposizione ipostatica, di umanità e di vita, supera la materia, supera la natura, supera le leggi ordinarie e fa risorgere i corpi se lui lo vuole, ma elemento ancora più importante sono quelle sacre carni, quella sacra parola di Dio, che oltre a far risorgere i corpi, fa risorgere anche le anime: quelle morte nel peccato e che risuscitano con la grazia di Dio che le riporta all’unione spirituale con la divinità. Dunque oggi ogni cristiano può “ricevere” quella mano per la propria, personale, santificazione, ricevendo la Santa Eucarestia.
Questo tocco di Gesù che risuscita il fanciullo è anche un bellissimo simbolo dei sacramenti di penitenza e di Eucarestia. Il Cristo adopera questo prodigio in mezzo ad un popolo insensibile e ingrato: difatti dimenticheranno presto questo miracolo che Gesù ha fatto per l’uomo stesso. Ebbene è per questo che la Chiesa opera nel mondo, nascosta, soffocata dal male, a volte disprezzata, attaccata, nella Verità che insegna, ma essa sarà sempre efficace se l’insegnamento impartito è nell’ordine del Divino e nella somministrazione dei sacramenti – strumenti della grazia.
Dunque oggi Cristo ci afferma ancora una volta “Venite da me”! Poiché il perdono ai peccatori (anche i peggiori), qualsiasi sia stata la loro colpa, se veramente pentiti alenano anche loro alla salvezza, toccati proprio dalla mano del Signore misericordioso vero Dio e vero uomo.
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Pellegrinaggio al cimitero monumentale del Verano

Pellegrinaggio al cimitero monumentale del Verano del 15-08-2021

di redazione

Insieme al nostro sacerdote don Giorgio Lenzi, alcuni membri del nostro Coetus Fidelium hanno effettuato un pellegrinaggio presso il Cimitero Monumentale del Verano a Roma.
Obiettivo della visita è stata quella di ricordare in preghiera tutti i soldati e gli uomini che hanno difeso la persona del Papa marchigiano (di Senigallia), il beato Pio IX (Mastai-Ferretti).
I corpi degli ufficiali e dei soldati pontifici caduti durante le diverse battaglie (Castelfidardo 1860, Agro Romano 1867, difesa di Roma 1870) furono sepolti nelle città e nelle nazioni di provenienza. Alcuni invece riposano a Roma e in altre località del Lazio, in tombe abbandonate e dimenticate.
Negativamente ci ha colpito il sepolcro proprio del generale di questi uomini, il badese Hermann Kanzler, la cui tomba versa in uno stato di incuria ed abbandono. Abbiamo così, in maniera insufficiente, ripulito il mausoleo della famiglia, ripromettendoci in un breve futuro di tornare, adeguatamenti equipaggiati, per pulire a fondo dall’incuria il luogo di questo eroe non ancora dimenticato.

Mausoleo della famiglia Kanzler al Verano. I sepolcri sono nella prima della fila sotto la Rupe Caracciolo, dietro la chiesa del cimitero, insieme alla moglie Laura dei Conti Vannutelli e al figlio, Rodolfo. Accanto vi è una cappella con la tomba di Madame de Charette, moglie di Athanase de Charette, comandante degli Zuavi (stirpe di eroici combattenti nella Vandea Militare della fine del 700).

Il gen. Hermann Kanzler (del Baden-Württemberg, 28/3/1822 – Roma 05/01/1888), Comandante in capo delle truppe pontificie e Pro-Ministro delle Armi, dopo il 20 settembre volle rimanere a Roma. E’ sepolto in una cappella al Cimitero del Verano insieme alla moglie Laura dei Conti Vannutelli e al figlio, Rodolfo. Kanzler, vincitore della battaglia di Mentana (1867) e difensore della Roma di Pio IX nel 1870. È stato un onore ripulire la tomba in stato di abbandono e porgere dei fiori al generale.

Mausoleo famiglia Kanzler. Lista dei caduti pontifici nelle battaglie risorgimentali: insieme al loro generale. Nelle immediate vicinanze vi sono delle tombe di alcuni militari (tutti francesi): – Paul Saucet, sergente degli Zuavi, nato il 16/11/1842, morì di malattia a Roma il 22/11/1861; partecipò alla battaglia di Castelfidardo, dove salvò la vita al suo capitano, Athanase de Charette. – Zuavo Achille de Bligny, nato 11/6/1826, si arruolò il 21/2/1861, morì all’ospedale militare di Marino il 27/8/1861; una magnifica scultura raffigurante uno zuavo sovrasta la sua tomba. – Zuavo Henri Foucault des Bigottières, 9/4/1827, si arruolò il 30/9/1867, fu assassinato un mese dopo a pugnalate da un sicario garibaldino il 25/10/1867 a Trastevere. – Adéodat e Emmanuel Dufournel. Adèodat, nato il 18/8/1838, si arruolò nel 1860. Capitano degli Zuavi, partecipò alla battaglia di Castelfidardo e alla campagna militare del 1867. Morì il 5/11/1867 in seguito alle ferite riportate. Emmanuel, nato il 22/2/1840, si arruolò col fratello nel 1860. Sottotenente degli Zuavi, morì il 20/10/1867 a Valentino, in seguito alle ferite riportate il giorno precedente nella battaglia di Farnese.

Tomba dello zuavo pontificio Achilles Bligny (1826-62), famoso pittore romantico dell’epoca: vive in Deo, anima sancta. Il sarcofago è situato dopo il Quadripoticato (Area XIX – Vecchio reparto, sector 4).

Lo stato di incuria, decadenza e abbandono in cui versa la tomba del generale Kanzler.

Tomba dello zuavo pontificio Achilles Bligny (1826-62), famoso pittore romantico dell’epoca: vive in Deo, anima sancta (particolare). Il sarcofago è situato dopo il Quadripoticato (Area XIX – Vecchio reparto, sector 4).

Virginio Vespignani – Vincenzo Lucardi, Monumento ai caduti dello Stato Pontificio per la battaglia di Mentana (1867) – marmo bianco, bronzo. “Non in multitudine exercitus victoria belli sed de caelo fortitudo est”. Machab L.1.C.III.V.19. – cimitero del Verano, pincetto vecchio. Per ricordare tutti quei soldati che persero la vita per difendere il territorio dello Stato Pontificio e il potere temporale della Chiesa, Pio IX fece erigere un monumento al centro del Pincetto Vecchio nel cimitero del Verano. L’opera, progettata da Virginio Vespignani (1808-82), è formata da un alto basamento ottagonale, impostato su due gradini, coronato da timpani, in alternanza triangolari e curvilinei, compresi tra acroteri. Su ogni prospetto dell’ottagono una lapide incorniciata reca i nominativi dei combattenti, non solo quelli morti a Mentana ma anche gli altri deceduti nei vari scontri del 1867 nel Lazio settentrionale . Sul basamento si erge un piedistallo, decorato con le figure allegoriche della Fede e della Fortezza, su cui poggia il gruppo scultoreo in marmo, realizzato da Vincenzo Lucardi (1808-1876) , raffigurante San Pietro nell’atto di consegnare la spada a un crociato. Il monumento è protetto da una recinzione artistica in ferro battuto, su cui compaiono i simboli del papa e la data 1867, ritmata da pilastrini con protomi leonine sulla sommità.

Virginio Vespignani – Vincenzo Lucardi, Monumento ai caduti dello Stato Pontificio per la battaglia di Mentana (1867) – marmo bianco, bronzo (particolare). “Non in multitudine exercitus victoria belli sed de caelo fortitudo est”. Machab L.1.C.III.V.19. – cimitero del Verano, pincetto vecchio.

Virginio Vespignani – Vincenzo Lucardi, Monumento ai caduti dello Stato Pontificio per la battaglia di Mentana (1867) – marmo bianco, bronzo (particolare). “Non in multitudine exercitus victoria belli sed de caelo fortitudo est”. Machab L.1.C.III.V.19. – cimitero del Verano, pincetto vecchio.

Statua di Papa Pio XII, fuori al Cimitero monumentale del Verano. Il principe di Dio Eugenio Pacelli: defensor civitatis. La statua di Papa Pio XII Pacelli si trova in Piazzale del Verano, nella parte del Quartiere Tiburtino nota come San Lorenzo. Le origini di questo monumento risalgono al 1964, quando l’opera teatrale di Rolf Hochhut Il Vicario mise in discussione l’operato di Pio XII durante la Seconda Guerra Mondiale, scatenando una forte reazione da parte delle autorità. Come risposta a quest’opera teatrale, l’allora direttore de Il Tempo, Renato Angiolillo, decise di raccogliere i fondi per realizzare una statua in onore di Pio XII attraverso una sottoscrizione popolare. Si decise allora di collocare la statua in prossimità di San Lorenzo fuori le Mura, dove era ancora molto presente il ricordo di quando in seguito al bombardamento del 19 Luglio 1943 Pio XII si presentò (in un’epoca in cui era raro che il Papa uscisse dai Palazzi Vaticani o da Castel Gandolfo) nel quartiere gravemente colpito dalle bombe, acclamato dalla folla. L’opera venne realizzata dallo scultore Antonio Berti, che lo raffigurò con le braccia aperte in atto di benedizione. L’opera venne inaugurata il 19 Luglio 1967 alla presenza del Papa Paolo VI Montini, che era stato al fianco di Pio XII negli anni della guerra con il ruolo di Sostituto Segretario di Stato.

Per approfondimenti:

_Giuseppe Baiocchi, Il beato Pio IX: storia dell’ultimo Papa Re, dasandere.it;

_Giuseppe Baiocchi, Hermann von Kanzler, l’ultimo generale di Cristo, dasandere.it;

_Giuseppe Baiocchi, Il principe di Dio Eugenio Pacelli: defensor civitatis, dasandere.it;

_Giuseppe Baiocchi, La Guardia Nobile Pontificia: quell’ultimo glorioso stendardo, dasandere.it

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Suscepimus Deus del 18-07-2021

Suscepimus Deus del 18-07-2021

di redazione

Domenica 18-07-2021, presso la Chiesa di San Cristoforo (Via D’Argillano n.21 – 63100 AP), il nostro Coetus Fidelium Beato Marco da Montegallo è stato ospitato dalla Confraternita della Buona Morte del Priore Giancarlo Tosti, per celebrare il rito romano antico nella forma cantata, con il nostro regolatore Don Giorgio Lenzi (IBP) sacerdote dell’Istituto Buon Pastore e Procuratore Generale per lo stesso con la Santa Sede. Al canto gregoriano ritroviamo il Maestro Giuseppe Spinozzi, al servizio Giuseppe Baiocchi (chierichetto), Alessandro Grilli (chierichetto) e Maurizio Seghetti (turiferario).
Il nostro regolatore, prima dell’inizio della celebrazione, ha aggiornato la nutrita assemblea presente, delle nuove disposizione del Santo Padre Papa Francesco.
Come prassi istituzionale il nostro sacerdote, nei giorni che hanno preceduto la celebrazione, ha contatto Sua Ecc. Rev. Mons. Domenico Pompili – Vescovo di Rieti e Amministratore Apostolico di Ascoli Piceno.
Naturalmente don Giorgio Lenzi (IBP) ha sottoposto il quesito per quanto riguardava la celebrazione della Santa Messa Tradizionale in questa Diocesi, alla luce dei recenti documenti e disposizioni della Santa Sede.
Come ci riferisce il nostro regolatore: «Sua Eccellenza è stato molto benevolo nei nostri confronti, come già lo fu al momento delle dimissioni di Mons. D’Ercole, che fu l’iniziatore di questa esperienza in questa Diocesi, dopo la richiesta di molti fedeli. Dunque Mons. Pompili mi ha chiesto di annunciare, a quanti non lo sapessero ancora, la comunicazione del nuovo Motu Proprio “Traditionis custodes” (Custodi della tradizione) – certamente più limitante – rispetto al Motu Proprio “Sommorum Pontificum”. Il Vescovo si riserva, alla luce delle nuove disposizioni della Santa Sede, di studiare il nostro caso e valutare se questo gruppo verrà mantenuto. Da parte mia vi invito tutti ad accogliere con serenità queste disposizioni della Santa Sede che sempre si è mostrata, nella sua storia, magnanima verso i fedeli obbedienti alle sue disposizioni.
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Dominus illuminatio mea del 20-06-2021

Dominus illuminatio mea del 20-06-2021

di redazione

Domenica 20-06-2021, presso la Chiesa di San Cristoforo (Via D’Argillano n.21 – 63100 AP), il nostro Coetus Fidelium Beato Marco da Montegallo è stato ospitato dalla Confraternita della Buona Morte del Priore Giancarlo Tosti, per celebrare il rito romano straordinario nella forma cantata, con Padre Charbel Pazat de Lys (O.S.B.), Monaco Benedettino del celebre monastero de Le Barroux. Il nostro regolatore Don Giorgio Lenzi sacerdote dell’Istituto Buon Pastore e Procuratore Generale per lo stesso con la Santa Sede, non ha potuto celebrare per motivi personali e – previa comunicazione alla Diocesi di Ascoli Piceno – ha chiesto la sostituzione con il sacerdote francese in via del tutto eccezionale. Al canto gregoriano ritroviamo il Maestro Giuseppe Spinozzi, mentre all’organo si è esibito il Maestro Luca Migliorelli.
Nell’omelia odierna, Padre Charbel Pazat de Lys (O.S.B.) ha ripetuto ancora una volta, come la Santa Messa ci coinvolge da sempre nel rinnovamento del sacrificio che Cristo ha effettuato per l’uomo. Nel rito antico i fedeli, bagnati dal battesimo, non sono dei meri figuranti, ma degli attori protagonisti, poiché se si partecipa al rito cattolico nessuno può uscire indenne da questa esperienza trascendente e mistica. La liturgia tutta, inserisce il fedele nel presente e nel vivo e non a caso il Vangelo di oggi ci ricorda “La chiamata di Dio”.
Difatti è proprio il Vangelo che riattiva e rimette in azione la Grazia iniziale che in diversi momenti della vita ci ha mossi tutti a dire “Sì”! a Dio. Questa procedura è identica a tutte le chiamate che Dio pone all’uomo: Abramo, Davide Zaccheo e tutti gli altri: ed è quello che è successo a Pietro, ed è quello che è successo a tutti voi almeno una volta nella vita o più volte in modi diversi. Certo, avvengono chiamate alla vita consacrata, come quella del sacerdozio, momenti in cui il Signore si manifesta in una forma ancora più splendente verso l’individuo, e ciò può far superare ostacoli, vincere tentazioni, accettare sacrifici, che nulla a questo mondo avrebbe potuto giustificare.
Quando nella preghiera proviamo quella gioia inspiegabile, data dalla gratuità del dono di noi stessi a Dio, verso il prossimo, rappresenta uno dei punti della chiamata di Dio. Anche un non-battezzato che farebbe ingresso in questa Chiesa, non capirebbe il motivo per cui è entrato, poiché c’è stato “qualcuno” che l’ha mosso in tale direzione. Proprio grazie all’esempio di San Pietro noi dobbiamo cercare Chi e Che Cosa ci muove.
All’archetipo sono solite essere due elementi: un incontro e una promessa. Per Pietro, Gesù procede a tappe: difatti Pietro conosceva già Gesù, avendolo già ascoltato all’interno della Sinagoga e ne rimase stupito per la sua autorità e meravigliato nel vedere scacciare i demoni o per il suo ricevimento nella sua casa, dove aveva guarito la suocera. Per questi ed altri eventi, un seme fu piantato nel suo cuore. E nei nostri cuori, quanto questo seme di vita è sceso in profondità? Proprio nei momenti descritti, un fiore è spuntato nella nostra anima, un elemento arboreo che non è di questo pianeta: un paesaggio ha preso forma, un profumo si è diffuso, una musica si è insinuata che non è di questo mondo.
Difatti tornando al Vangelo, dopo questi primi incontri, Gesù si incammina nella predicazione e solo più tardi tornerà da Pietro “casualmente”, spinto dalla folla, sulla riva del Lago, stessa acqua dove Pietro rammendava le reti per la pesca e lì lo coinvolgerà nel suo cammino.
Come con Pietro, noi eletti – figli delle seconde linee -, veniamo coinvolti da Dio con semplicità, con richieste facili, ma segnati da questo sigillo di gratuità, di servizio, che apre tutto l’essere all’azione di Dio. Anche Pietre ebbe paura, quando si rese conto di essere coinvolto da un’altra realtà e che questa dimensione nuova lo aveva coinvolto. La stessa paura che oggi sembra esserci verso le cose di Dio, forse avere paura di Dio è il più grande peccato del mondo: forse questa paura, spesso, costituisce un segno, che siamo sull’orlo di un doppio abisso, quello del nostro peccato e il confronto di questo alla bontà onnipotente di Dio.
E così Pietro si getta in ginocchio e riferisce a Cristo “allontanati, io sono un peccatore”: questo costituisce l’abisso dei nostri peccati che contrariamente fa parte del nostro cammino di fede! Se non siamo coscienti del bisogno di una salvezza, perché avremmo bisogno di Gesù? Questo abisso dei nostri peccati fa parte delle cose che ci mettono in movimento e che ci muovono, ed è bene che ci sia questa paura, la quale testimonia la grandezza e la paura della nostra chiamata al Cielo, perché poi c’è la promessa che capovolge la situazione: l’abisso della bontà – “Pietro non avere paura” – che serve per mostrarci il Regno dei Cieli e quel fiore, che col suo profumo indugia le nostre anime, ci fa arrendere al Nostro Creatore. Il Regno così è diventato presente e l’uomo cattolico diviene pescatore di uomini e si sacrifica per ognuno di noi.

 

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Spiritus Domini del 23-05-2021

Spiritus Domini del 23-05-2021

di redazione

Domenica 23-05-2021, presso la Chiesa di San Cristoforo (Via D’Argillano n.21 – 63100 AP), il nostro Coetus Fidelium Beato Marco da Montegallo è stato ospitato dalla Confraternita della Buona Morte del Priore Giancarlo Tosti, per celebrare il rito romano straordinario nella forma cantata, con don Giorgio Lenzi, sacerdote dell’Istituto Buon Pastore e Procuratore Generale per lo stesso con la Santa Sede. Hanno partecipato alla Santa Messa come servizio all’altare il chierichetto Gabriele Bernardini.
Al canto gregoriano il Maestro Giuseppe Spinozzi. Nell’omelia odierna, don Giorgio Lenzi (IBP), ci ricorda che il tempo pasquale volge al termine con la solenne festa di Pentecoste, che nella tradizione cristiana cattolica appare come una seconda Pasqua – per definizione popolare “la Pasqua dei fiori” o la “Pasqua delle rose” (proprio perché i petali delle rose erano accostati alle fiamme dello spirito santo).
Proprio in questa giornata particolare, gli apostoli riuniti nel cenacolo di Gerusalemme, timorosi, attendevano la manifestazione di ciò che dovevano fare per eseguire le parole dell’insegnamento del Signore e fu così che la Terza persona della Santissima Trinità discende su di loro, sotto forma di fiamme di fuoco e di vento gagliardo.

Tutti noi abbiamo bisogno dello Spirito Santo: il Cristo l’ha annunciato e l’ha detto numerose volte, promettendo che sarebbe giunto quello che i testi aramaici hanno definito “il paraclito”, che può significare il consolatore, ma che significa anche l’avvocato, il difensore. Ebbene la Terza persona della Santissima Trinità che non è nient’altro che Dio stesso e che giunge in una forma particolare, innanzi tutto sui dodici apostoli perché sono coloro che ne hanno maggiore bisogno, ma che viene poi nell’animo e nella vita di ogni cristiano in diversi momenti della propria esistenza.
Lo Spirito Santo apre gli occhi della fede sui Misteri più grandi. Difatti gli Apostoli dopo i numerosi miracoli pasquali avvenuti non avevano percepito ancora l’essenza della grandezza del Cristo e tale percezione viene dimostrata dall’elemento dell’attesa all’interno del cenacolo di Gerusalemme. Ebbene lo Spirito Santo apre loro gli occhi, li conferma nella fede – un sigillo che scende sulla loro fede – e quindi li renderà veramente adatti alla diffusione della Verità. Come Cristo – secondo elemento della Trinità divina – è venuto sulla Terra per aprirci le porte del cielo, così lo Spirito Santo gli succede per compiere l’opera di redenzione dell’uomo.
Dunque lo Spirito Santo è un sigillo (è Dio): Dio che viene per porre il suo marchio di autenticità sulla Verità, che rimane ed è immutabile ed assiste la Santa Chiesa sulla Terra.
Allora in questo giorno Santissimo, Maria – la madre di Dio – unità a queste dodici “colonne” della Chiesa, poiché gli Apostoli sono il sostentamento e le fondamenta della stessa Chiesa, ricevono il fuoco e il vento dello Spirito Santo. Difatti è proprio la grazia divina, a rappresentare l’amicizia della nostra anima con Dio. Ed ancora di più nel Sacramento della Cresima, tutto avvolto nella venuta dello Spirito Santo nella nostra anima, che Dio ci avvia nel nostro cammino di adulti nella vita. Lo Spirito Santo, oltre questi momenti sacramentali, torna a trovarci in momenti anche meno solenni: ogni volta che ritroviamo la grazia di Dio nel sacramento della confessione e/o la giusta decisione in momenti delicati ed importanti della nostra vita. Ma rifiutare lo Spirito Santo diviene orribile bestemmia, che Cristo stesso condanna nel suo Vangelo, poiché si rifiuta il dono della grazia e il dono della Redenzione.
Così ricordando il momento storico in cui lo Spirito Santo è venuto sotto forma di vento nel Cenacolo di Gerusalemme, riviviamo tutti gli altri momento in cui lo spirito Santo ci visita nella nostra vita: cerchiamo di accoglierlo e riconoscerlo e rifuggiamo i momenti in cui non ascoltiamo lo Spirito Santo, ma lo spirito umano che è capace invece di operare il male.
Invochiamo dunque lo Spirito Santo poiché con il suo Sigillo, la nostra fede è salva.

 

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Misericórdia Dómini del 18-04-2021

Misericórdia Dómini del 18-04-2021. Don Giorgio Lenzi

di redazione

Domenica 18-04-2021, presso la Chiesa di San Cristoforo (Via D’Argillano n.21 – 63100 AP), il nostro Coetus Fidelium Beato Marco da Montegallo è stato ospitato dalla Confraternita della Buona Morte del Priore Giancarlo Tosti, per celebrare il rito romano straordinario nella forma cantata, con don Giorgio Lenzi, sacerdote dell’Istituto Buon Pastore e Procuratore Generale per lo stesso con la Santa Sede. La Santa Messa ha visto partecipazione del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio con i suoi rappresentanti delegati.

La delegazione Marche-Romagna (sezione di Ascoli Piceno) del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio: il responsabile Cav. Costantino Brandozzi, il Cappellano iure sanguinis SMOC don Giorgio Lenzi, Cav. Enzo Lori, e il priore del Coetus Fidelium Giuseppe Baiocchi.

Hanno partecipato alla Santa Messa come servizio all’altare i cappellani, Alessandro Grilli e Riccardo Prosperi. Al canto gregoriano il Maestro Giuseppe Spinozzi, mentre all’organo il Maestro Luca Migliorelli. Nell’omelia odierna, don Giorgio Lenzi (IBP), ci ricorda come la Chiesa contrariamente alle istituzioni civili, festeggia in maniera continuativa la Santa Pasqua fino all’ascensione, fino alla pentecoste, proprio per sottolineare la grandezza del miracolo operato dal Signore, che ha resuscitato se stesso. Allora la Tradizione della Chiesa in questo tempo pasquale, attribuisce le domeniche a diversi nomi, a secondo delle antifone, a seconda dei testi liturgici ed evangelici.
Concentrandoci sulla Sacra pagina, il popolo cristiano a ri-battezzato questa seconda domenica dopo Pasqua come quella del Buon Pastore. Non si tratta unicamente di una festa liturgica (come quella del Cristo Re o del Sacro Cuore di Gesù), si tratta semplicemente di un appellativo, che ci possa aiutare a comprendere quel messaggio salvifico del figlio di Dio risorto. Particolarmente questa domenica è cara all’Istituto del nostro Santo Sacerdote don Giorgio Lenzi, poiché la Società di vita apostolica di cui egli è membro – rappresentandola in Italia e presso la Santa Sede -, si è fondata nel 2006 sotto il vocabolo del “Buon Pastore”( L’institut du Bon Pasteur).
Una domenica cara, poiché il carisma fondatore dell’Istituto presiede proprio nella pagina del Vangelo di oggi. Il Buon Pastore è una figura che è sempre stata posta come elemento di alto valore nella dottrina cristiana: nei primissimi secoli, già nelle raffigurazioni artistiche, dei primi cristiani, il Cristo non era raffigurato né risorto, né crocifisso, ma come un “buon” Pastore.
Tale figura aveva anche una caratura difensiva, per via delle persecuzioni: un mondo di pastorizia, il simbolo di pastore, poteva – in un primo momento – attirare meno l’attenzione dei persecutori pagani.
La figura del Buon Pastore è già di per sé importante per via della sua chiarezza: i primi Padri della Chiesa ci parlavano del “bel Pastore”, nella quale la nozione di bellezza non ha carattere estetico, ma si tratta soprattutto di una nozione morale, di una bellezza interna. Ego sum pastor bonus, così si dipinge il figlio di Dio, quando parla ai suoi primi discepoli: si presenta attraverso la bontà, la bellezza e la purezza delle sue intenzioni, delle sue azioni, del suo essere. Dunque il redentore è un “Buon Pastore” e noi tutti siamo chiamati ad operare – nel miglior modo possibile – come Cristo ci ha insegnato. Il Buon Pastore, in questa pagina del Vangelo, ama e sacrifica se stesso, non è mercenario (che non vuole il bene, ma il salario), poiché ambisce al bene per il proprio gregge di pecorelle, non cede alla facilità, non cede alle mode del mondo. Egli, Buon Pastore, ci ha amato fino all’effusione del suo sangue, fino alla morte ed al sacrificio estremo coronato dalla gloria della Resurrezione che ancora celebriamo. Il Cristo ci dice: “Io sono il Buon Pastore e do la vita per le mie pecore”, Egli conosce il suo gregge, Dio sa tutto, scruta i nostri cuori, le nostre anime e ama tutti noi con i nostri difetti, i nostri peccati a condizione che desideriamo il bene e preghiamo per quanto ci sia possibile con le nostre forze e con l’aiuto della grazia divina per la nostra conversione, per andare verso di lui, che vuole redimerci e convertirci all’unica Verità. Per questo il Pastore è buono e guida il gregge come si deve, nel modo più opportuno e giusto, a volte incomprensibile alla nostra natura umana.
“Seguite me verso i verdi pascoli”: è con questo desiderio dei colli eterni, che Cristo ci aiuta e ci conforta in questa “Valle di lacrime” terrestre. Aiuto, conforto, perdono. Il Buon Pastore scaccia i lupi, ed è per questo che Egli è raffigurato con il bastone, elemento che serve sia per radunare il gregge, ma anche per scacciare le bestie che vogliono attaccarci. Quando una pecorella si può smarrire, allontanandosi dal gregge, il Buon Pastore la ritrova e la riavvicina alla “retta via” (ovile della sicurezza e verità) portandola sulle proprie spalle: ecco un altro simbolo cattolico, quello della pecorella smarrita. Egli infine ci pasce, grazie alla sua presenza e protezione.
Oggi, più che mai, bisogna scoprire la propria religione. Quanta ancora l’ignoranza religiosa presente al tempo dei laureati? Tale sistematicità fa sì che si attui un rifiuto aprioristico verso la trascendenza cristica e la profondità della Verità. Nella domenica del Buon Pastore, nome che riprende a piene mani la Fraternità del nostro Santo Sacerdote don Giorgio Lenzi, abbiamo attuato anche un parallelismo con San Giorgio martire, cavaliere, ricordato e glorificato ancora oggi dal Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio.
Un’istituzione, che si basa su reali fondamenti storici, porta avanti nel mondo la difesa di valori sommi e immutabili, proprio come quelli insegnati dall’insegnamento del Vangelo di Cristo. Dunque possiamo comprendere come la vita dell’uomo sia un unicum con la tradizione della Santa Chiesa: non può esservi separazione, poiché l’uomo deve operare una missione, la quale non può che abbracciare tutte le discipline, tutte le circostanze. Oggi accade l’esatto inverso poiché viviamo in un monto non più verticale, ma orizzontale, schizofrenico. Bisogna portare avanti dei concetti, dei princìpi, che sono il fondamento di tutto questo, che si trasmette anche attraverso queste simbologie materiali. Per riprendere il Vangelo odierno, “Buoni Pastori” furono i Sovrani che benedetti dalla Chiesa, che sulle orme di Costantino e del megalomartire (Γεώργιος) San Giorgio hanno fatto la grandezza delle nostre regioni e delle nostre attuali nazioni.
Oggi si ha difficoltà nel perseguire determinati valori, poiché la società ignorante li osteggia, avendo un desiderio di continua rottura, in un turbine di rivoluzione continua: una cosa non deve mai essere uguale a quella del giorno precedente e dunque si disgrega la società, non rimane più niente. Ecco appunto cos’è il nuovo martirio, quello appunto dell’Ordine cavalleresco di San Giorgio, che nella professione di fede ha riconosciuto totalmente il cristianesimo che aveva abbracciato e noi oggi lo facciamo in modo diverso: la diffusione dei veri valori. Allora dunque invochiamo San Giorgio, con il suo Sacro Ordine Militare, la Casa dei Borbone e soprattutto di tutta la società, poiché abbiamo bisogno di cavalieri: oggi sarebbe ridicolo, vedere un cavaliere che entra in arcione con lancia e armatura, ma abbiamo bisogno di cavalieri intellettuali, individui capaci di resistere al cattivo insegnamento che purtroppo penetra a tutti i livelli della società.

 

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