Category Archives: Sante Messe

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Misericórdia Dómini del 18-04-2021

Misericórdia Dómini del 18-04-2021. Don Giorgio Lenzi

di redazione

Domenica 18-04-2021, presso la Chiesa di San Cristoforo (Via D’Argillano n.21 – 63100 AP), il nostro Coetus Fidelium Beato Marco da Montegallo è stato ospitato dalla Confraternita della Buona Morte del Priore Giancarlo Tosti, per celebrare il rito romano straordinario nella forma cantata, con don Giorgio Lenzi, sacerdote dell’Istituto Buon Pastore e Procuratore Generale per lo stesso con la Santa Sede. La Santa Messa ha visto partecipazione del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio con i suoi rappresentanti delegati.

La delegazione Marche-Romagna (sezione di Ascoli Piceno) del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio: il responsabile Cav. Costantino Brandozzi, il Cappellano iure sanguinis SMOC don Giorgio Lenzi, Cav. Enzo Lori, e il priore del Coetus Fidelium Giuseppe Baiocchi.

Hanno partecipato alla Santa Messa come servizio all’altare i cappellani, Alessandro Grilli e Riccardo Prosperi. Al canto gregoriano il Maestro Giuseppe Spinozzi, mentre all’organo il Maestro Luca Migliorelli. Nell’omelia odierna, don Giorgio Lenzi (IBP), ci ricorda come la Chiesa contrariamente alle istituzioni civili, festeggia in maniera continuativa la Santa Pasqua fino all’ascensione, fino alla pentecoste, proprio per sottolineare la grandezza del miracolo operato dal Signore, che ha resuscitato se stesso. Allora la Tradizione della Chiesa in questo tempo pasquale, attribuisce le domeniche a diversi nomi, a secondo delle antifone, a seconda dei testi liturgici ed evangelici.
Concentrandoci sulla Sacra pagina, il popolo cristiano a ri-battezzato questa seconda domenica dopo Pasqua come quella del Buon Pastore. Non si tratta unicamente di una festa liturgica (come quella del Cristo Re o del Sacro Cuore di Gesù), si tratta semplicemente di un appellativo, che ci possa aiutare a comprendere quel messaggio salvifico del figlio di Dio risorto. Particolarmente questa domenica è cara all’Istituto del nostro Santo Sacerdote don Giorgio Lenzi, poiché la Società di vita apostolica di cui egli è membro – rappresentandola in Italia e presso la Santa Sede -, si è fondata nel 2006 sotto il vocabolo del “Buon Pastore”( L’institut du Bon Pasteur).
Una domenica cara, poiché il carisma fondatore dell’Istituto presiede proprio nella pagina del Vangelo di oggi. Il Buon Pastore è una figura che è sempre stata posta come elemento di alto valore nella dottrina cristiana: nei primissimi secoli, già nelle raffigurazioni artistiche, dei primi cristiani, il Cristo non era raffigurato né risorto, né crocifisso, ma come un “buon” Pastore.
Tale figura aveva anche una caratura difensiva, per via delle persecuzioni: un mondo di pastorizia, il simbolo di pastore, poteva – in un primo momento – attirare meno l’attenzione dei persecutori pagani.
La figura del Buon Pastore è già di per sé importante per via della sua chiarezza: i primi Padri della Chiesa ci parlavano del “bel Pastore”, nella quale la nozione di bellezza non ha carattere estetico, ma si tratta soprattutto di una nozione morale, di una bellezza interna. Ego sum pastor bonus, così si dipinge il figlio di Dio, quando parla ai suoi primi discepoli: si presenta attraverso la bontà, la bellezza e la purezza delle sue intenzioni, delle sue azioni, del suo essere. Dunque il redentore è un “Buon Pastore” e noi tutti siamo chiamati ad operare – nel miglior modo possibile – come Cristo ci ha insegnato. Il Buon Pastore, in questa pagina del Vangelo, ama e sacrifica se stesso, non è mercenario (che non vuole il bene, ma il salario), poiché ambisce al bene per il proprio gregge di pecorelle, non cede alla facilità, non cede alle mode del mondo. Egli, Buon Pastore, ci ha amato fino all’effusione del suo sangue, fino alla morte ed al sacrificio estremo coronato dalla gloria della Resurrezione che ancora celebriamo. Il Cristo ci dice: “Io sono il Buon Pastore e do la vita per le mie pecore”, Egli conosce il suo gregge, Dio sa tutto, scruta i nostri cuori, le nostre anime e ama tutti noi con i nostri difetti, i nostri peccati a condizione che desideriamo il bene e preghiamo per quanto ci sia possibile con le nostre forze e con l’aiuto della grazia divina per la nostra conversione, per andare verso di lui, che vuole redimerci e convertirci all’unica Verità. Per questo il Pastore è buono e guida il gregge come si deve, nel modo più opportuno e giusto, a volte incomprensibile alla nostra natura umana.
“Seguite me verso i verdi pascoli”: è con questo desiderio dei colli eterni, che Cristo ci aiuta e ci conforta in questa “Valle di lacrime” terrestre. Aiuto, conforto, perdono. Il Buon Pastore scaccia i lupi, ed è per questo che Egli è raffigurato con il bastone, elemento che serve sia per radunare il gregge, ma anche per scacciare le bestie che vogliono attaccarci. Quando una pecorella si può smarrire, allontanandosi dal gregge, il Buon Pastore la ritrova e la riavvicina alla “retta via” (ovile della sicurezza e verità) portandola sulle proprie spalle: ecco un altro simbolo cattolico, quello della pecorella smarrita. Egli infine ci pasce, grazie alla sua presenza e protezione.
Oggi, più che mai, bisogna scoprire la propria religione. Quanta ancora l’ignoranza religiosa presente al tempo dei laureati? Tale sistematicità fa sì che si attui un rifiuto aprioristico verso la trascendenza cristica e la profondità della Verità. Nella domenica del Buon Pastore, nome che riprende a piene mani la Fraternità del nostro Santo Sacerdote don Giorgio Lenzi, abbiamo attuato anche un parallelismo con San Giorgio martire, cavaliere, ricordato e glorificato ancora oggi dal Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio.
Un’istituzione, che si basa su reali fondamenti storici, porta avanti nel mondo la difesa di valori sommi e immutabili, proprio come quelli insegnati dall’insegnamento del Vangelo di Cristo. Dunque possiamo comprendere come la vita dell’uomo sia un unicum con la tradizione della Santa Chiesa: non può esservi separazione, poiché l’uomo deve operare una missione, la quale non può che abbracciare tutte le discipline, tutte le circostanze. Oggi accade l’esatto inverso poiché viviamo in un monto non più verticale, ma orizzontale, schizofrenico. Bisogna portare avanti dei concetti, dei princìpi, che sono il fondamento di tutto questo, che si trasmette anche attraverso queste simbologie materiali. Per riprendere il Vangelo odierno, “Buoni Pastori” furono i Sovrani che benedetti dalla Chiesa, che sulle orme di Costantino e del megalomartire (Γεώργιος) San Giorgio hanno fatto la grandezza delle nostre regioni e delle nostre attuali nazioni.
Oggi si ha difficoltà nel perseguire determinati valori, poiché la società ignorante li osteggia, avendo un desiderio di continua rottura, in un turbine di rivoluzione continua: una cosa non deve mai essere uguale a quella del giorno precedente e dunque si disgrega la società, non rimane più niente. Ecco appunto cos’è il nuovo martirio, quello appunto dell’Ordine cavalleresco di San Giorgio, che nella professione di fede ha riconosciuto totalmente il cristianesimo che aveva abbracciato e noi oggi lo facciamo in modo diverso: la diffusione dei veri valori. Allora dunque invochiamo San Giorgio, con il suo Sacro Ordine Militare, la Casa dei Borbone e soprattutto di tutta la società, poiché abbiamo bisogno di cavalieri: oggi sarebbe ridicolo, vedere un cavaliere che entra in arcione con lancia e armatura, ma abbiamo bisogno di cavalieri intellettuali, individui capaci di resistere al cattivo insegnamento che purtroppo penetra a tutti i livelli della società.

 

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Laetáre, Ierúsalem del 14-03-2021

Laetáre, Ierúsalem del 14-03-2021. Don Giorgio Lenzi

di redazione

Domenica 14-03-2021, presso la Chiesa di San Cristoforo (Via D’Argillano n.21 – 63100 AP), il nostro Coetus Fidelium Beato Marco da Montegallo è stato ospitato dalla Confraternita della Buona Morte del Priore Giancarlo Tosti, per celebrare il rito romano straordinario nella forma cantata, con don Giorgio Lenzi, sacerdote dell’Istituto Buon Pastore e Procuratore Generale per lo stesso con la Santa Sede. Hanno partecipato alla Santa Messa come servizio all’altare il cerimoniere Lodovico Valentini, un giovane chierichetto e il turiferario Giuseppe Baiocchi. Al canto gregoriano il Maestro Giuseppe Spinozzi.
Nell’omelia odierna, nella metà del tempo di Quaresima, don Giorgio Lenzi ci illustra la diversità rispetto alle domeniche precedenti. Non è casuale come i paramenti siano di colore rosaceo, poiché apportano una connotazione gioiosa. Fino a Papa Montini, in questo giorno, il Sommo Pontefice, usava benedire una rosa d’oro nella quale si racchiudeva una goccia del sacro crisma, dell’incenso benedetto, derivanti appunto da questi petali preziosi, grazie a questo Olio Santo. Questa rosa veniva poi donata dal Papa, a personaggi illustri della città eterna e di protettori della Santa Chiesa o spesso inviata a qualche santuario molto venerato. Il Santo Padre Benedetto XVI ha offerto in alcune occasioni la rosa d’oro – da lui benedetta -, non nei giorni liturgici previsti, poiché nei tempi recenti si è perso l’uso tradizionale di benedire la rosa in questo modo. Prima della cattività avignonese, la benedizione della rosa, in questa domenica a Roma era un rito molto solenne e caratteristico ed è probabilmente tale celebrazione gioiosa che ha prodotto il colore rosaceo di questo tempo di Quaresima: una pausa nel lungo percorso della rinuncia che parte dal mercoledì delle ceneri e arriva al Triduo Sacro e al Santissimo giorno di Pasqua.
Oggi, forse, conserviamo una sola immagine debole di quello che fu il tempo della Roma dei Papi, della domenica Laetare detta “la domenica della Rosa d’oro”. Riti particolari della Cappella Papale li ritroviamo già sotto Leone IX, dove si conferiva grande importanza a quest’oggetto sacramentale ed ancora Innocenzo III, durante una sua omelia, ne riprese i riferimenti nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme a Roma (la quale custodisce le reliquie preziose della passione di Nostro Signore Gesù Cristo). Dunque quest’ultima Basilica, insieme a quella di San Giovanni in Laterano, furono per secoli lo scenario dei riti di questo giorno.
In epoca medievale il Papa compiva – presso il Palazzo del Laterano – la benedizione di questa rosa preziosa, e creato il sacro corteo (che si svolgeva come una vera e propria cavalcata) si giungeva alla Basilica di Santa Croce in Gerusalemme. Ebbene nella Chiesa stazionale di questa domenica, il Pontefice pronunciava un’omelia nella quale si enunciavano i caratteri della mistica rosa d’oro: pura, profumata, bella, colorata e subito dopo si celebrava la Santa Messa, alla fine della quale poi si ritornava al Palazzo del Laterano.
Così durante entrambi i tragitti il Papa, in arcione, teneva in mano la Sacra Rosa che assumeva tratti mistici e misteriosi anche per il popolo che quindi si rallegrava di vedere questo solenne rito compiuto dal Pontefice romano. Arrivato al Palazzo Apostolico il Papa veniva aiutato a smontare da cavallo da una delle più alte dignità presenti: un Sovrano di altro Stato, dei princeps romani, dei nobili e/o politici. Colui che ritualmente compiva tale gesto simbolico, aveva poi in dono – dallo stesso magnanimo Pontefice – la Sacra Rosa d’oro. Tale regalo era considerato un grande onore e simbolo di fedeltà alla Verità del cristianesimo.
Ritornando a tempi ancora più antichi della Santa Chiesa, la gioia espressa nel tempo odierno era rivolta soprattutto ai catecumeni (coloro che si preparavano al battesimo), durante questo tempo di quaresima. Costoro attendevano il lavacro rigenerante delle acque della salvezza e quindi dovevano vivere con grande gioia l’attesa di quel sacramento che li avrebbe poi liberati dal peccato originale e da tutti gli altri peccati commessi in età adulta. Tutti, anche i peccatori, si rallegravano di questa domenica in rosa, certi del perdono, che Gesù Cristo avrebbe concesso, attraverso la gerarchia della Chiesa. L’epistola accenna al dono meraviglioso della rinascita per la quale si diventa e si ritorna ad essere figlioli di Dio. Rinascita con la quale guardavano con trepidazione i battezzandi e i penitenti: coloro che aspettavano di ritornare all’Eucarestia.
Interessante il passaggio del sacro Vangelo in cui Gesù raccomanda, ai suoi amici e ai suoi discepoli, di raccogliere i frammenti rimasti di questo pane (ecco perché l’attenzione dei Ministri di Cristo a non disperdere neppure una singola briciola dell’ostia consacrata – ed ecco perché l’importanza del piattino). Già dunque possiamo intravedere la gioia pasquale del miracolo della risurrezione, grazie alla pausa gioiosa di oggi, che ci ricarica spiritualmente per continuare con rinnovato fervore la penitenza quaresimale. L’orazione della Santa Messa appunto ci afferma come: “O Dio Onnipotente, a noi che portiamo la giusta pena delle nostre azioni, concedi di vivere con il conforto della tua grazia”. La speranza cristiana, il desiderio del cielo e le promesse di Dio ci dicono che rivivremo sostenuti dalla divina grazia, sostenuti dai sacramenti, sostenuti dalla preghiera, sostenuti dai frutti di penitenza, ma anche da quella comunione dei santi che ci unisce tutti, nella Santa Chiesa.
Ed è con questa speranza gioiosa di questa domenica di Laetare che ci apprestiamo a preparare il Triduo Pasquale. Ricordiamo sempre l’inizio dell’Introito Laetare Jerusalem: questa gioia della Gerusalemme è la gioia che un giorno vivremo nella beatitudine eterna del cielo.
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Invocábit me, et ego exáudiam eum del 21-02-2021

Invocábit me, et ego exáudiam eum del 21-02-2021. Don Giorgio Lenzi

di redazione

Domenica 21-02-2021, presso la Chiesa di San Cristoforo (Via D’Argillano n.21 – 63100 AP), il nostro Coetus Fidelium Beato Marco da Montegallo è stato ospitato dalla Confraternita della Buona Morte del Priore Giancarlo Tosti, per celebrare il rito romano straordinario nella forma cantata, con don Giorgio Lenzi, sacerdote dell’Istituto Buon Pastore e Procuratore Generale per lo stesso con la Santa Sede.


Hanno partecipato alla Santa Messa come servizio all’altare il cerimoniere Lodovico Valentini, il chierichetto Giuseppe Baiocchi. Al canto gregoriano il Maestro Giuseppe Spinozzi.

Don Giorgio Lenzi ci ricorda nella sua omelia, come le giornate di quaresima non siano spazi per il mero digiuno o per le sole penitenze: lo stesso San Tommaso d’Aquino ci ricorda come il digiuno della domenica possa risultare dannoso poiché sconvolge l’ordine delle cose.

Sono i giorni ordinari della settimana che sono fatti per l’applicazione delle penitenze durante questo tempo. La liturgia delle domeniche di Quaresima è certamente una liturgia a carattere fortemente penitenziale: parliamo di segni, di testi, così come si evince dai Salmi cantati dopo l’Epistola. Un testo penitenziale avvertito anche dalla sua lunghezza: una piccola penitenza sia per chi la deve cantare, sia per i fedeli che assistono agli uffici di Quaresima.

Testo di penitenza, ma anche testo di fiducia, della speranza dell’uomo inviato verso Dio, perché sa che Dio lo sosterrà in tutte le tentazioni, in tutti i perigli e in tutte le situazioni anche le più terribili. Tali prove se sostenuto con Dio divengono per l’uomo proficue. Parliamo del Salmo 90 che si raccorda ampiamente al racconto evangelico di oggi, in cui viene il maledetto demonio, Satana – il tentatore per eccellenza -, che attacca il nostro amabile Signore e proprio a partire da questo salmo il maligno millanta l’abuso dell’intervento divino e della sua assistenza verso l’uomo.

Una delle sue maligne e celebri frasi le ricordiamo nella domanda del “perché Dio ci lascia in queste condizioni”? Ebbene questa è già una tentazione, dove il diavolo cerca di inserirsi nella mente e nel pensiero del Messia, figlio di Dio, proprio perché a Satana non era dato sapere se quell’uomo, venuto sulla terra in maniera speciale, fosse realmente il figlio di Dio – poiché non può vederne la sua divinità, celata dietro l’umanità e quindi lo tenta. Cristo deve resistere dunque alle tentazioni della mondanità e della facilità: due elementi che oggi sono all’ordine del giorno. Cristo, seconda persona della Santissima Trinità, decide di ricevere queste tentazioni terrene, proprio per mettersi al fianco dell’uomo nella sua momentanea e parziale umanità, e trasmettere la resistenza alla tentazione diabolica luciferina. La penitenza e il digiuno sono due strumenti per lottare contro il male e contro il peccato personale e della società. Gli studiosi moralisti, della morale, ci dicono che ogni tanto – nella vita di un battezzato – occorre fare penitenza, purificarsi dal male quotidiano, che forse anche involontariamente compiamo.
Anche la privazione di piacere leciti, giusti, può aiutarci in questo cammino verticale di Santità, poiché ci aiuta a concentrarci sull’importanza della nostra anima, della nostra parte spirituale – allontanandoci dalle cose più dirette e materiali. Dunque ritrovare anche nel culto, nella pratica dei sacramenti, nelle buone confessioni, quella grazia che ci viene offerta da Nostro Signore Gesù Cristo. Allora il nostro motto durante la santa Quaresima, deve essere Penitenza e Riparazione: elementi che possono ridurre quel purgatorio che ci attende, dopo il nostro Giudizio, dopo la nostra morte.
Oggi giorno la disciplina della Chiesa è molto leggera, le penitenze ufficiali, poste ai fedeli battezzati sono poche: il digiuno si riduce solo al mercoledì delle ceneri e al Venerdì Santo. Certamente le leggi canoniche ci dicono chiaramente quando un peccato è stato commesso e quando invece non si è incappati nello stesso.


Purtroppo la storia ci dice che osserviamo un continuo alleggerirsi della disciplina della penitenza: sia quella di ambito confessionale, sia di quella che la Chiesa impone a tutti i fedeli in determinati momenti dell’anno. Questo è accaduto per via dell’incapacità dell’uomo moderno e contemporaneo di vivere la penitenza nel giusto spirito cristico, la Chiesa lascia “più andare”, nel senso che indirettamente accompagna l’anima del fedele ad un purgatorio più lungo. Un tempo le penitenze non si traducevano solo con la preghiera, ma anche con opere fisiche come un pellegrinaggio, o con l’edificazione di Altari o addirittura Chiese. Tali atti di fede, permettevano un’espiazione più rapida. Oggi le poche opere richieste dal confessore, si espia una parte veramente minima, del peccato confessato e il resto viene affidato alla nostra penitenza e alla nostra capacità di usare l’indulgenza della Santa Chiesa. Quante cose sono dunque da riparare dal punto di vista sociale? Quante eresie professate oggi giorno, sulla Verità rivelata, deturpano il volto della Santa Chiesa e distruggono il messaggio di Cristo? Quante leggi inique sono oggi approvate dalla società e non corrispondono assolutamente né alla legge naturale, né a quella di Dio. Allora di fronte a queste nefandezze placcate di umanesimo e di diritti umani noi dobbiamo rispondere non solo con il nostro No dottrinale, ma anche con la giusta penitenza per essere dei cristiani alla sequela di Cristo. Ed ecco come l’esempio di Cristo nel Vangelo di oggi, quanto la tradizione millenaria di Santa Romana Chiesa, ci chiede di fare penitenza durante la Quaresima, quanto questa penitenza sia indispensabile in questa società scristianizzata. Non sprechiamo dunque questo tempo, mettiamoci al lavoro con preghiere, penitenza, digiuno ed elemosine, chiedendo l’aiuto degli angeli per vivere bene questa Santa Quaresima.

 

© Coetus Fidelium Beato Marco da Montegallo – Riproduzione riservata

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Adoráte Deum, omnes Ángeli eius del 24-01-2021

Adoráte Deum, omnes Ángeli eius del 24-01-2021. Don Giorgio Lenzi

di redazione

Domenica 24-01-2021, presso la Chiesa di San Cristoforo (Via D’Argillano n.21 – 63100 AP), il nostro Coetus Fidelium Beato Marco da Montegallo è stato ospitato dalla Confraternita della Buona Morte del Priore Giancarlo Tosti, per celebrare il rito romano straordinario nella forma cantata, con don Giorgio Lenzi, sacerdote dell’Istituto Buon Pastore e Procuratore Generale per lo stesso con la Santa Sede.

Hanno partecipato alla Santa Messa come servizio all’altare il cerimoniere Lodovico Valentini, il chierichetto Giuseppe Baiocchi e il turiferario Fratel Ferdinando. Al canto gregoriano il Maestro Giuseppe Spinozzi.
Dall’omelia, don Giorgio Lenzi ci ricorda come siamo tornati nel ciclo ordinario dell’anno liturgico, un periodo di grande preghiera e lode al Signore. Diventa dunque quasi d’obbligo riprodurre l’insegnamento catechetico ai fedeli. Diventa centrale in questo periodo la quotidianità nella predicazione di Gesù Cristo.

 

In questa sobrietà della domenica più normale, la Sacra pagina ci guida nella nostra vita di cristiani e oggi udiamo il salvatore nostro dire: “Volo Mundare” (Io voglio che tu sia guarito), ovvero il volere di questa purificazione nei confronti di un lebbroso – una malattia incurabile e mortale per l’epoca. Ovviamente il malato, che ricordiamo fu realmente esistito – non certamente oggetto di fantasie, come le note “favole mitologiche” del paganesimo –, poiché la Chiesa ha sempre riconosciuto tali eventi come realmente accaduti, chiese aiuto al Signore del Cielo e della Terra: ed ecco dunque che ci viene rivelato quell’incontro tra la volontà di Dio e la nostra volontà e le nostre esigenze.

Difatti spesso chiediamo a Dio delle richieste non necessarie, che non corrispondono al vero bene, ma spesso possono essere nocive alla salvezza della nostra anima, ed è questa la ragione del perché Dio non risponde sempre positivamente alle richieste della nostra anima. Ed è proprio nel momento in cui la nostra richiesta corrisponde con la volontà divina e con il bene che è necessario per noi, Dio ci riafferma “Volo Mundare” e ciò vale sia per le questioni del corpo, che per quelle dello spirito.

Si pensi al caso biblico di Giobbe, messo alla prova fino all’ultimo da Dio; o come Nostro Signore stesso, quando nel giardino degli ulivi è preso d’angoscia e afferma “passi da me questo calice”: egli è Dio, ma la sua natura umana di quel momento prevale per mostrarci quanto a volte occorre sottomettersi a Lui ed essere capaci di dire “Io vorrei che fosse così, ma sia fatta la Tua volontà”.
Non a caso nella richiesta del lebbroso, egli afferma al Signore “Se tu vuoi”, e non “io lo voglio”: ed allora Gesù dice “Volo Mundare”, “Sì, lo voglio”. La volontà divina è identica, per misericordia, a quella del richiedente e il miracolo è fatto. Colui che era afflitto dalla lebbra incurabile, guarisce e diviene salvo.

Parallelamente tale miracolo significa anche lo specchio della purificazione della nostra anima: ed ecco che un fatto reale accaduto nella vita di Gesù, serve anche come fatto spirituale in un secondo livello – ma non si può dire che i fatti della vita di Gesù siano solo metafore: ciò comporterebbe lo scivolamento in un’eresia, un errore.
La purificazione di un lebbroso, significa anche poter elevare e ripulire la nostra anima, ma sempre nelle giuste condizioni, con l’attenzione, può essere purificata dal sangue preziosissimo di nostro Gesù Cristo, che noi offriamo ancora oggi sui nostri altari.
Continuando con il discorso evangelico, Gesù accontenta una seconda richiesta.

Mentre il lebbroso praticava la stessa religione del Tempio, il Messia incontra un romano, un pagano. Gesù accontenta la richiesta di questo uomo, poiché la fede dimostrata da quest’uomo, è molto più grande e più forte di quella del popolo di Israele che aveva il Messia e non lo riconosceva come tale. Dunque Gesù quando sente questa proclamazione di fede, decide che merita di essere ascoltata. Quest’uomo malgrado l’autorità e la carriera militare raggiunta – lui stesso la manifesta: “Io do ordini e tutti mi obbediscono” -, quest’uomo, questo soldato pagano, si fa umile e supplica Gesù ed Egli guarisce il suo figlioletto malato, senza neanche vederlo o toccarlo. “La fede sposta le montagne” affermerà Gesù in un altro passaggio del Vangelo, poiché la Fede di tutti i battezzati messi insieme, potrebbe risuscitare il trionfo di Cristo sulla terra e il trionfo della Verità. Purtroppo le cose non stanno così e non a caso Gesù chiama gli uomini come “uomini di poca fede”.

Questi due segni del Vangelo di oggi rappresentano dunque per noi la Speranza fisica e spirituale. Questa Chiesa che sembra oggi sempre più attaccata, come affermavano i Pontefici Pio XII e Paolo VI, e forse gli stessi “marinai della barca” non sono più capaci di compiere quegli atti utili a ritrovare la rotta, in un mondo in tormenta. Non per questo la Chiesa militante è toccata da una lebbra, da una malattia che è difficile da curare, ma noi sappiamo che il Cristo – giusto Giudice – renderà a ciascuno il suo, ed ascolterà le preghiere di coloro che umilmente sapranno chiedere la salvezza. Bisogna tornare dunque ad affermare “Io Credo che Gesù Cristo è figlio di Dio, Io credo nella sua miracolosa venuta sulla terra; Io credo nella verginità di Maria Santissima, Io credo nell’esistenza degli Angeli; certo tanti durante il nostro percorso ci guarderanno molto stranamente, ma diventeremo dei costruttori di fede all’interno di questa società secolarizzata, piatta, orizzontale e ciò sarà reso possibile da Dio stesso, poiché Egli premierebbe questi atti di fede, questi atti di coraggio.

Molti uomini senza più fede, saranno stupiti e non capiranno tale messaggio, poiché non hanno dato lettura alla krisis del soggetto occidentale moderno, ma noi pochi – come per il lebbroso – dobbiamo prostrarci a Dio e chiedere questa purificazione; come il centurione – che restò umile – dobbiamo tornare ad essere servi di Dio: non è certamente sufficiente la falsa umiltà. Ciò dovrà compiersi, proprio per evitare la gemma che Gesù minaccia alla fine del Vangelo per coloro che rifiutano la fede e la Verità. Questa gemma, lo sappiamo, è la dannazione eterna che per quanto sia una cosa triste dobbiamo considerarla Verità di fede.

 

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Roráte coéli désuper del 20-12-2020

Roráte coéli désuper del 20-12-2020. Don Giorgio Lenzi

di redazione

Domenica 20-12-2020, presso la Chiesa di San Cristoforo (Via D’Argillano n.21 – 63100 AP), il nostro Coetus Fidelium Beato Marco da Montegallo è stato ospitato dalla Confraternita della Buona Morte del Priore Giancarlo Tosti, per celebrare il rito romano straordinario nella forma cantata, con don Giorgio Lenzi, sacerdote dell’Istituto Buon Pastore e Procuratore Generale per lo stesso con la Santa Sede.

Hanno partecipato alla Santa Messa come servizio all’altare il cerimoniere Cristiano Scandali, il chierichetto Giuseppe Baiocchi e il turiferario Massimiliano Raspino. Al canto gregoriano Lodovico Valentini.

Dall’omelia di don Giorgio Lenzi, emerge come in questo tempo di Avvento noi abbiamo invocato ed atteso dal cielo la venuta del Salvatore. Roráte coéli désuper recita ancora l’Introito di questa IV Domenica di Avvento, ultima di questo tempo.

Dunque la Salvezza è un qualcosa che non tocca tanto la liberazione dell’umanità sulla terra, ma si parla di qualcosa di ben più grande, ovvero la salvezza di ogni anima. Ed ecco perché la venuta nella storia del Figlio di Dio diviene apertura al prodigio della salvezza per l’eternità.

Nella pagina del Vangelo odierno, la figura di Giovanni Battista spicca sicuramente, poiché vengono narrati i fatti straordinari della vita di Nostro Signore. Eventi annunciati prima dai profeti, poi dal cugino Giovanni – ultimo profeta dell’Antico Testamento – primo Martire del nuovo testamento.

Ad un certo punto, per decreto divino, tutto si ferma ed arriva il Salvatore: storicamente viene collocata nella realtà questo annuncio di salvezza. Il momento storico è preciso e come ogni evento di grande rilievo la Chiesa colloca la Santa Messa esattamente con perfetta precisione: la 00:00 tra il 24 e il 25 dicembre di ogni anno.

Nel momento del peccato originale, atto vero e concreto, Dio costretto a reagire, dopo ampie ed illimitate concessioni, vide cadere nel peccato d’orgoglio l’uomo e conseguentemente le porte del paradiso si chiusero: si dischiuderanno unicamente con una riparazione totale e degna dell’offesa che era stata commessa. Nessun uomo riuscirà da allora a riparare quell’abisso fra l’umanità e il creatore, che era stato creato da quel primo peccato e che aveva macchiato le future generazione in maniera indelebile. Ed ecco perché tale divino decreto, che stabilisce per l’eternità il verbo di Dio, il solo capace di riparare quell’offesa, si unirà all’umanità, si farà carne e quella riparazione sarà perfetta ed alimenti quella salvezza di ogni singolo uomo che vuole coglierla e farla propria, poiché come ci ricorda Sant’Agostino: “colui che ci ha creati senza il nostro concorso, non ci può salvare senza il nostro concorso”.

Dunque con la nascita di Cristo, si materializza anche quella chiave che potrà riaprire le porte sigillate del paradiso, torna tra noi quello scettro glorioso vengono per liberarci dalla prigione in cui la nostra condizione di peccatori ci aveva relegato. Dolce chiave che riapre la porta del cielo, che ci riapre appunto l’Eternità.

Quanto, dunque, diviene importante riacclamare queste verità di base? Oramai purtroppo, molti battezzati, misconoscono tutte queste verità di base, che dovrebbero essere scontate, ma che scontate ora non sono più. In pochi ormai credono che Gesù Cristo è il figlio di Dio, ma molti lo hanno trasformato in un “primordiale” esponente di movimenti politici, in un simbolo di pace, in un simbolo di amore, ma sempre accostandolo all’elemento terreno, basso, orizzontale. Oggi è sparito quel senso di verticalità, di Ariston, di alto, di trascendente: non abbiamo più lo slancio per vedere le cose eterne del cielo, quando di contro, Egli è la chiave del paradiso.

Se aderissimo completamente alla Verità, nessun uomo, né potenza politica terrestre, sfiderebbe tale Verità, la Santa Chiesa e tutti correrebbero ai piedi dei santi altari ad implorare la salvezza dell’anima (lo spirito) e dei corpi (la materia). Perciò bisogna tornare a difendere i diritti di Dio, celati diabolicamente dal liberalismo, dal sincretismo e dall’indifferentismo.

Prepariamoci al Santo Natale – afferma don Giorgio – con strumenti semplici: le buone letture, una confessione ben preparata e la recita del Santo Rosario; anche a costo di essere “una carne sbattuta dal vento” o essere “una voce che gridava nel deserto”, come il Battista.

© Coetus Fidelium Beato Marco da Montegallo – Riproduzione riservata

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Ad te levávi ánimam meam del 29-11-2020

Ad te levávi ánimam meam del 29-11-2020. Don Giorgio Lenzi

di redazione

Domenica 29-11-2020, presso la Chiesa di San Cristoforo (Via D’Argillano n.21 – 63100 AP), il nostro Coetus Fidelium Beato Marco da Montegallo è stato ospitato dalla Confraternita della Buona Morte del Priore Giancarlo Tosti, per celebrare il rito romano straordinario nella forma cantata, con don Giorgio Lenzi, presbitero dell’Istituto Buon Pastore e Procuratore Generale per lo stesso con la Santa Sede.
Hanno partecipato alla Santa Messa come servizio all’altare il cerimoniere Lodovico Valentini, il chierichetto Giuseppe Baiocchi e il turiferario Alessandro Grilli. All’organo Francesco Angelini e al canto gregoriano Giuseppe Spinozzi.
Dall’omelia di don Giorgio Lenzi, abbiamo capito come siamo all’inizio del nuovo ciclo liturgico dell’Avvento. Santa Romana Chiesa ci fa rivivere i misteri della liturgia nella Redenzione, affinché gli affanni e le preoccupazioni della vita che l’uomo vive nel quotidiano, possano mantenere la mente verso le realtà eterne del cielo.
L’Avvento si pone come contraltare alla Santa Quaresima: sono i due tempi di preparazione penitenziale, anticamere di due grandi solennità, fondati sui più grandi misteri della nostra fede, ovvero l’Unità e la Trinità di Dio e l’incarnazione nella resurrezione di Nostro Signore.
Dunque la preparazione del Natale e della Pasqua ci preparano al secondo di questi misteri. L’avvento ci prepara all’Incarnazione, la Quaresima alla passione e morte di Nostro Signore Gesù Cristo: elemento riparatorio per il peccato originale di Adamo al quale sono succeduti gli innumerevoli peccati che l’uomo è stato capace di compiere. La Natura dunque si ribella al suo Creatore compiendo il male e seminando dolore e morte. Per questo è importante in questo periodo una penitenza “gioiosa”, poiché questa si fonda non sull’errore del peccato, ma si contempla la gioia e la sicurezza nella salvezza: sappiamo che il Figlio di Dio si fa uomo – continuamente attraverso la grazia – per la salvezza di ciascuno di noi.
Allora i simboli della liturgia sono chiari: i paramenti sono violacei, si omette il gloria, anche se la domenica si mantiene l’Alleluia, proprio per manifestare questa gioia in cui rimane sempre una nota di giubilo. La Santa Messa termina con il “benedicamus Domino” proprio perché questa celebrazione continua per tutta la nostra giornata e in tutta la nostra vita.
La finalità di questo periodo è l’attesa “cieli piovete dall’alto e le nubi facciano discendere il giusto”, che il cielo chiuso dal peccato originale, si apra per inviarci la salvezza “il Verbo di Dio si farà carne e abiterà in mezzo a noi”. L’epistola ci invita ad allontanarci dai vizi, ci invita a renderci conto del gran dono che Dio intende fare all’umanità e quale è questo suo dono? Il più prezioso, ovvero suo Figlio: la seconda persona della Santissima Trinità.
Lo stesso Gesù Cristo che noi rifiutiamo continuamente nel peccato, che noi rifiutiamo abbassandolo alle esigenze del mondo – crisi della fede di oggi -, quasi che debba essa per prima piegarsi alle idee del mondo. Ebbene contemplare la salvezza, ci aiuta a capire che la fede non può essere asservita, ma essa deve regnare su gli altri contesti. Dunque anziché lamentarci, urlare contro il mondo, bisognerebbe iniziare a vivere bene, a dare l’esempio: sobri, pii, in preghiera – secondo i consigli dell’Apostolo Paolo -, per ricevere degnamente il vero e unico Messia che è già venuto per salvarci. Non aspettiamo nessun altro, poiché la salvezza è già avvenuta ed è per questo motivo che il Natale assume questa importanza fondamentale. Quest’anno più di altri anni e di altre epoche, abbiamo bisogno che il Signore venga. Tre sono le venute del Signore che invochiamo: la sua venuta storica, che rende il Natale celebrazione solennissima, di quel cammino che segna l’inizio della nostra salvezza; la sua venuta spirituale attraverso la santa liturgia, la quale non è nostalgico ricordo di un passato lontano, ma diviene – attraverso la sua trasmissione generazionale – elemento del presente, che ci conduce verso il futuro sperato, dove questa venuta presente avviene sugli Altari e si conserva nei tabernacoli, dove è custodito Dio vivo e vero, in anima, corpo e divinità pronto a visitare le nostre anime; infine l’annuncio della Sua venuta, annunciata dai profeti, dove questo tempo liturgico di oggi ci prepara a quell’ultima venuta del Cristo Giudice che è fine di tutto, ma è anche inizio di una eternità, quel momento che sarà preambolo dell’eternità beata, per coloro che ne sono degni, e della dannazione eterna per coloro che si sono allontanati dalla retta via.
Dice Gesù nel Vangelo di oggi “il cielo e la terra passeranno, la parola di Dio non passerà mai”: anche in mezzo agli sconforti di questi tempi, in mezzo agli scandali, in mezzo ad una società che sembra non avere più la fede, sappiamo che Dio non abbandona mai la Chiesa, che Dio non abbandona mai i suoi figli, non abbandona mai i battezzati.
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Dicit Dóminus: Ego cógito cogitatión del 08-11-2020

Dicit Dóminus: Ego cógito cogitatión del 08-11-2020 . B. M. Salter

di redazione

Domenica 08-11-2020 alle ore 16:00, presso la Chiesa del Sacro Cuore (Chiesa dei Sacconi) presso Via Filippo Corridoni, 10, 62029 Tolentino (MC) si è svolta la Messa Cantata in rito romano antico organizzato dalla Venerabile Confraternita del Sacro Cuore di Gesù di Tolentino a cui il Coetus Fidelium “Beato Marco da Montegallo” ha partecipato.
Ha celebrato la Santa Messa Padre Bernard M. Salter, aiutato dal cerimoniere Giuseppe Polverini, Giuseppe Baiocchi (chierichetto) e Bruno Fianchini (Turiferario). Il coro ha visto la presenza di Lodovico Valentini, Edoardo Belveredesi, Cristiano Scandali e Fabrizio Diomedi. In cantoria Andrea Carradori (organo) e Michele Carloni (voce).
Padre Salter nella sua omelia si è concentrato sul Vangelo di Matteo nel quale si compie un altro miracolo: «Mentre Gesú parlava alle turbe, ecco che uno dei capi gli si accostò e lo adorò, dicendo: Signore, or ora mia figlia è morta: ma vieni, imponi la tua mano su di essa, e vivrà. Gesú, alzatosi, gli andò dietro con i suoi discepoli. Quand’ecco una donna, che da dodici anni pativa una perdita di sangue, gli si accostò da dietro, e toccò il lembo della sua veste. Diceva infatti tra sé: Solo che io tocchi la sua veste e sarò guarita. E Gesú, rivoltosi e miràtala, le disse: Abbi fiducia, o figlia, la tua fede ti ha salvata.
E da quel momento la donna fu salva. Giunto che fu alla casa del capo, vedendo dei suonatori e una turba di gente rumoreggiante, disse: Ritiratevi, poiché la fanciulla non è morta, ma dorme. E lo deridevano. Ma dopo che la gente venne fatta sgombrare, Egli entrò, prese la giovane per mano ed ella si alzò. E la fama di ciò si diffuse per tutto quel paese». Il frate ci ricorda che l’adorazione di Cristo non deve avvenire “di sfuggita”, con superficialità, ma con sentimento e metodo, un amore che arrivi alla profondità del nostro animo.
Proprio da questa profondità, l’ultima parte della Santa Messa ha visto la Supplica ai Santi Martiri per i Consacrati perseguitati: dunque il rosso del Piviale di Padre Alter rappresenta il sangue del Martirio e il conseguente reliquiario mostrato per l’adorazione alla conclusione della Messa ce lo dimostra.
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Réquiem aetérnam dona eis, Dómine del 02-11-2020

Réquiem aetérnam dona eis, Dómine del 02-11-2020. Don A.Leonesi

di redazione

Lunedì 02-11-2020 alle ore 20:30, presso la Chiesa del Sacro Cuore (Chiesa dei Sacconi) presso Via Filippo Corridoni, 10, 62029 Tolentino (MC) si è svolta la Messa Cantata in rito romano antico organizzato dalla Venerabile Confraternita del Sacro Cuore di Gesù di Tolentino a cui il Coetus Fidelium “Beato Marco da Montegallo” ha partecipato.
Ha celebrato la Santa Messa il Vicario generale della diocesi di Macerata Don Andrea Leonesi, aiutato dal cerimoniere Edoardo Belvederesi, Fabrizio Diomedi (chierichetto) e Bruno Fianchini (Turiferario). Il coro ha visto la presenza di Lodovico Valentini, Andrea Carradori e Giuseppe Baiocchi.
Il Messale di San Pio V, nella Commemorazione dei fedeli defunti e durante le cerimonie funebri, prevede l’assoluzione al tumulo eretto sopra un catafalco. Ma cos’è il catafalco e perché veniva utilizzato? L’Etimologia del termine “Catafalco” è alquanto incerta: gli esperti propendono che derivi dal latino “captare” (catturare lo sguardo) e da “palco” (luogo elevato e visibile).

In questa foto, esempio di catafalco presso la Chiesa della Trinità dei pellegrini a Roma. In sostanza il Catafalco era una “costruzione in legno” formata da una base a “tronco di piramide” rivestita solitamente di tessuto nero damascato con ricamo a rilievo di “teschi con tibie incrociate” e “clessidre alate”, simbolo per i cristiani dell’inesorabile trascorrere del tempo della dissoluzione del corpo dopo la morte. Questa base poi, di solito, era sormontata da una bara (logicamente senza salma) sul cui coperchio veniva ulteriormente innestata una sfera dorata (sempre di legno) sulla cui sommità svettava una scultura lignea a forma di “colomba con le ali aperte”. Il tutto poteva misurare in altezza mediamente sui 5 o 6 metri e in larghezza 3 o 4 metri.

Quello che doveva colpire il fedele era la “verticalità” che aveva il compito di dare il senso di ascesa al cielo del defunto. Ai lati del Catafalco, come buona regola, venivano posti vari candelabri d’argento o d’ottone, ed a seconda della solennità, potevano variare da 8 a 12, intervallati da uno spazio sufficiente ad ospitare un vaso solitamente adornato di crisantemi. Veniva disposto davanti all’altare o nella navata principale della chiesa; talvolta era sostituito da un semplice drappo nero, detto coltre funebre. Questo completo addobbo funerario, veniva allestito principalmente durante l’Ottavario dei Defunti dal 2 al 9 novembre o in occasioni particolari come la morte di un Pontefice o del Patriarca. Accanto al Catafalco, durante l’Ottavario dei Morti, veniva posto anche un “mastodontico leggio” elevato da una pedana, affiancato da un gigantesco candelabro a più braccia sul quale ardevano perennemente dei ceri. Ogni sera alla funzione, un “cantore” proclamava in lingua latina la “salmodia funebre” con melodia gregoriana e al termine di ogni salmo veniva spento un cero dal candelabro. Nei funerali invece, l’apparato veniva ridotto alla sola base troncoconica dove veniva adagiata la bara con il defunto, rimanevano però i candelieri le aste e il Crocifisso che facevano parte dell’addobbo detto “ordinario”. In più venivano “listate a lutto” le colonne della chiesa e drappeggiate con damaschi neri.
Con la Riforma Liturgica post-conciliare, tutte queste forme di “esteriorità scenografiche” sono state completamente sostituite da una Liturgia più “sobria” e più consona alla celebrazione stessa. Infatti il 2 Novembre, l’ottava dei defunti e negli anniversari funebri, non c’è la minima traccia , nelle nostre chiese, dell’ imponente catafalco. Tutto viene sostituito dal Cero Pasquale, simbolo di Cristo Risorto. Come Cattolici crediamo fermamente nella risurrezione di Cristo e quindi anche nella risurrezione dei nostri corpi, ma il significato in gioco è differente. Il catafalco non toglie nulla alla verità della Resurrezione, anzi, ci presenta un’altra verità che è quella della morte e del suffragio come necessario per la liberazione delle Anime dei defunti dal Purgatorio.
La società moderna fugge il dolore, la morte, quindi il catafalco suscita angoscia, malumore, spavento: da qui la sua dipartita.
La stessa sorte è capitata ai paramenti neri, che il Messale Tridentino obbligava a indossare per le messe funebri e il Venerdì Santo. Anche se il l’Ordinamento del Messale Romano (di Paolo VI) non elimina il colore nero dei paramenti liturgici. Vediamo cosa dice: Il numero 346 dell’Ordinamento in vigore afferma con forza: “Riguardo al colore delle sacre vesti, si mantenga l’uso tradizionale”. L’uso tradizionale, in Italia, fino agli anni ’70 era (e sarebbe ancora), per i funerali e la commemorazione dei defunti, il nero.
Quindi, secondo il capoverso e) Il colore nero si può usare, dove è prassi consueta, nelle Messe per i defunti. Peccato che in tutto l’orbe latino sarebbe prassi consueta questo colore, a parte il Giappone che godeva già di un’eccezione, perché il colore del lutto in quel territorio è il bianco e non nero. Purtroppo, prima, il paragrafo d) aveva introdotto già di fatto l’opzione del viola: d) Il colore viola si usa nel tempo di Avvento e di Quaresima. Si può usare negli Uffici e nelle Messe per i defunti. Quasi la totalità dei sacerdoti utilizza il colore violaceo per le messe funebri, perché il nero, come già detto, impressiona.
Infatti si sente spesso dire: “è lugubre, fa pensare alla morte, ma noi celebriamo la risurrezione, mica la morte!”. Allora – se proprio fosse veramente questa la motivazione – si abbia il coraggio di passare direttamente al bianco, come fanno negli Stati Uniti, dove tutti i cattolici ormai sono sepolti con il colore dei Santi e dei Beati confessori. Il viola invece dice piuttosto “penitenza”. Il viola dice “attesa” (Avvento): oramai, per il caro trapassato, è tardi per attendere, non aspetta più nulla, l’incontro è già in atto. Il viola – infine – nell’unione di blu e rosso parla dell’unione fra divino e umano: ma nel defunto noi vediamo invece la separazione dell’anima dal corpo, dove lo spirito torna al creatore e il corpo alla terra. Il viola, dunque, non possiede le proprietà simboliche per significare principalmente la morte, né la speranza della risurrezione, che risplende per contrasto con la morte.

Se invece si ha la fortuna di possedere nell’armadio della propria chiesa qualche pianeta funebre di un tempo, si vedrà con sorpresa che i paramenti neri hanno una proprietà speciale. Sono sempre ricamati o intessuti di argento o d’oro. Proprio per motivi simbolici! Stanno a significare, con il linguaggio del colore che si usa solo per le occasioni funebri: tutto sembra nero, come la morte, la fine, la mancanza di vita, ma – invece – si intravvede sul nero la luce (oro e argento) che viene dalla speranza, anzi dalla certezza della fede nel Signore Risorto. E’ lui la luce che illumina e anzi risalta meglio sullo sfondo oscuro della presente situazione di morte, lutto e distacco.

Il Vicario generale ha ricordato come l’evidenza del catafalco al centro della navata unica della Chiesa, ci ricorda i nostri cari defunti. In questa liturgia Réquiem aetérnam dona eis, Dómine si sottolinea questo ricordo e non a caso i paramenti neri della pianeta del presbitero sono ancora una volta monito di riflessione. Tali segni aiutano il fedele ad entrare in un grande mistero: per questo la commemorazione di tutti i fedeli defunti, deve ricordare a tutti noi che moriremo. Questo fattore può relativizzare molti degli eventi che l’uomo vive, fino a farci enunciare che la morte in realtà non esiste: il catafalco nero non ha nessun corpo sopra, poiché Cristo ci ha liberati tutti. Come ci ricorda il Vangelo di oggi, tutti coloro che hanno udito la voce di Dio, vivranno. Ogni uomo è affidato a Gesù, perché lui ha assunto la natura umana, homo-homini-deus, ha avuto l’affido di ogni uomo sulla terra. Così quando moriamo non è “la morte” che viene a prenderci, ma il buon Dio e proprio per tale motivo, la morte assume un altro valore e da qui il parallelismo con la sua “non esistenza”.
La resurrezione pasquale che annuncia che “Dio è risorto! È davvero risorto!” deve essere enunciato con convinzione, poiché il mistero della morte aiuta, l’uomo a vivere con una consapevolezza e dignità diversa.
Proprio per questo in questa giornata particolare preghiamo per tutte quelle anime sante che sono in purgatorio e non in paradiso, poiché la festa dei Santi, appunto, è stata celebrata ieri. Con tali anime residenti nell’anticamera del paradiso, ecco che può avvenire un aiuto in preghiera per loro, anche acquistando un’indulgenza. Quest’anno Papa Francesco I, ha esteso a tutto il mese di Novembre, la possibilità di acquistare l’indulgenza facendo visita al cimitero, rendendo possibile ben trenta indulgenze per i nostri cari defunti. La morte così non diviene che un effimero passaggio di consegne, diviene evanescente fobia del mondo terreno.
Per questo non bisogna vivere questa giornata con la tristezza e nostalgia per i propri cari, ma con gioia, la stessa che ebbero i tre fanciulli (e l’angelo che li protesse) Sadràch, Mesàch e Abdènego all’interno della fornace ardente che l’imperatore Nabucodonosor fece preparare per loro dopo che i tre si rifiutarono di adorare la sua statua d’oro, per celebrare Cristo – così ci ricorda il profeta Daniele.
Chiediamo al Signore questa grazia e di farci vivere in pace questa festa che aiuterà, tramite le indulgenze, le sante anime del Purgatorio, che ancora attendono di entrare nella pienezza del Paradiso: che noi possiamo dunque entrare in questo grande mistero, unione profonda con Gesù Cristo, noi che possediamo le primizie dello spirito, attendiamo la redenzione del nostro corpo e l’esplosione dello Spirito Santo in noi.
Dies ìrae, dìes ìlla,/Solvet seclum in favìlla,/Teste David cum Sibylla./Quantus tremor est futùrus,/Quando Iùdex est ventùrus,/Cuncta stricte discussùrus./Tuba, mirum spargens sonum,/Per sepùlchra regiònum,/Coget omnes ante thronum./Mors stupèbit et natùra,/Cum resùrget creatùra,/Iudicànti responsùra./Liber scriptus proferètur,/In quo totum continètur,/Unde mundus iudicètur./Iudex ergo cum sedèbit,/Quidquid latet apparèbit,/Nil inùltum remanèbit./Quid sum miser tunc dictùrus?/Quem patrònum rogatùrus,/Cum vix iustus sit secùrus?/Rex tremèndae maiestàtis,/Qui salvàndos salvas gratis,/Salva me, fons pietàtis./Recordàre, Iesu pie,/Quod sum causa tuae viae,/Ne me perdas illa die./Quaerens me, sedìsti lassus;/Redemìsti crucem passus;/Tantus labor non sit cassus./Iuste Iudex ultiònis,/Donum fac remissiònis,/Ante diem ratiònis./Ingemìsco tamquam reus;/Culpa rubet vultus meus;/Supplicànti parce, Dèus./Qui Màriam absolvìsti,/Et latrònem exaudìsti,/Mihi quoque spem dedìsti./Preces meae non sunt dignae,/Sed tu bonus, fac benìgne,/Ne perènni cremer igne./Inter oves locum praesta,/Et ab haedis me sequèstra,/Stàtuens in parte dextra./Confutàtis malèdictis,/Flammis àcribus addìctis,/Voca me cum benedìctis./Oro supplex et acclìnis;/Cor contrìtum quasi cinis;/Gere curam mei finis./Lacrimòsa dies illa,/Qua resùrget ex favìlla,/Iudicàndus homo reus,/Huic ergo parce Deus;/Pìe Ièsu Dòmine,/Dòna eis rèquiem. Amen.
In quel dì che le Sibille,/E Davidde profetàr,/Si vedrà tutto in favìlle/L’universo consumar./Qual tremor, quale spavento/L’Orbe tutto assalirà/Quando il Dio del Testamento/Giudicante a lui verrà./Allo squillo della tromba/Ogni avel si schiuderà,/Onde il corvo e la colomba/Alla valle insieme andrà./Si vedran Natura e Morte/In un punto istupidir,/Quand’innanzi al Vivo, al Forte/Dovrà ognuno comparir./Si vedrà nel libro eterno/Il delitto e la virtù,/Onde il Cielo oppur l’Inferno/Avrà l’uom per quel che fu./Ora, il Giudice sedente/Fra le nuvole del ciel,/Ai secreti d’ogni mente/Toglierà l’antico vel./Fra l’orror di tanta scena/Qual soccorso implorerò,/Mentre salvo sarà appena/Chi da giusto i dì menò?/Tu che salvi chi s’aggrada,/Re tremendo in maestà,/Mi schiudi al ciel la strada,/Fonte eterno di bontà./Che per noi prendesti carne/Ti rammenta, buon Gesù,/Onde allor abbi a salvarne
Dall’eterna schiavitù./Per me fosti in croce esangue/Tra i dolor da capo a piè;/Il valor di cotanto sangue/Non sia vano allor per me./Concedimi il perdono,/Giusto giudice ed ultòr,/Pria che a’ piedi del tuo trono/Sperimenti il tuo furòr./Peccator qual io mi veggo,/Copro il volto di rossor:/Tu dunque a me ch’el chièggo,/Dà benigno il tuo favor./Da te assolta fu Maria,/Per te salvo fu il ladron,/Onde viva in me pur sia/La speranza del perdon./Le mie preci, Nume eterno,/Non son degne, e chi no ‘l sa?/Ma dal fuoco dell’Inferno/Tu mi scampa per pietà./Ti dai capri mi dividi,/Di cui fìa Satànno il re,/Onde a destra co’i tuoi fidi/Trovi grazia innanzi a Te./Condannati i maledetti/Alle fiamme ed ai sospìr,/Allor chiama co’ dilètti,/Alla gloria dell’Empìr./Il dolor che in questo seno/Il mio cor di già ammollì,/A pietà ti muova almeno/Nell’estremo de’ miei dì./Lagrimòso quel momento/Onde l’uomo peccator/Dall’ignìvomo tormento/Andrà innanzi al suo Signor./Fra l’orror di tanto scempio,/Mostra, Dio, la tua virtù;/E il tuo sangue a pro dell’empio/Tutto impiega, buon Gesù.
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Dómini Nostri Iesu Christi Regis del 25-10-2020

Dómini Nostri Iesu Christi Regis del 25-10-2020. Padre B. M. Salter

di redazione

Domenica 25-10-2020 alle ore 16:00, presso la Chiesa del Sacro Cuore (Chiesa dei Sacconi) presso Via Filippo Corridoni, 10, 62029 Tolentino (MC) si è svolta la Messa Cantata in rito romano antico organizzato dalla Venerabile Confraternita del Sacro Cuore di Gesù di Tolentino a cui il Coetus Fidelium “Beato Marco da Montegallo” ha partecipato.
Ha celebrato la Santa Messa Padre Bernardo M. Salter aiutato dai chierichetti Giuseppe Polverini (cerimoniere), Cristiano Scandali (chierichetto) e Gianni Pievaroli (Turiferario). Il coro ha visto la presenza di Lodovico Valentini, Edoardo Belvederesi, Giuseppe Baiocchi. In cantoria all’organo il Maestro Andrea Carradori, coadiuvato da Michele Carloni (voce).
L’altare Ad Deum della Chiesa ha visto la presenza dell’oro: esso è la luce del Sole di Dio, è maschile, è positivo ed apollineo. L’argento, contrariamente è luce lunare, femminile, negativa, la notte delle streghe, dei sabba.
Nell’omelia il frate ha ricordato la celebrazione solenne di Dómini Nostri Iesu Christi Regis. Dunque la regalità di Gesù Cristo, Re del Cielo e della Terra: è importante capire come la sua regalità si estenda in tutto l’Universo. Ogni potere su questa terra, ogni autorità, dovrà rispondere a lui, poiché Egli è autorità su tutto. Gesù è Re dell’Universo, poiché è la parte della creazione più vicina a Dio, già di natura divina in quanto “incarnato” nella nostra fragile umanità e ciò rappresenta già un primato su tutto il resto della creazione.
Di conseguenza è Re dell’umanità perché è colui che ci ha redenti, è colui che ci ha riconciliati con il Padre: è il mediatore, è colui che offrendo se stesso a cospetto di Dio ha pagato il prezzo del nostro riscatto e anche solo per ciò avrebbe diritto su tutti noi.
Egli è Re anche per la sua superiorità del suo amore: quando lo osserviamo in croce, noi vediamo l’apice della sua carità «nessuno può avere amore più grande di colui che dà la propria vita per i suoi amici»: è la verità incarnata.
Se oggi sulla terra si osserva una grande disordine, noi non riusciamo a vedere quelle grandi qualità del Regno di Cristo: un regno di amore, di pace, di grazia, di giustizia, un Regno di piena e perfetta armonia – proprio perché regna la carità: tutto è secondo giusta gerarchia con Dio all’apice ed ogni creatura è in sottomissione sotto di lui e ciò conduce alla piena partecipazione dei suoi aspetti buoni, giusti e ben fatti.
Perché non vediamo le qualità del Regno di Cristo sulla Terra? Perché l’istigazione dell’uomo non permette che Cristo regni sulla terra e si sforzano di ergere un regno opposto a quello di Cristo: non avviene per cui una sottomissione da parte dell’uomo al Regno di Cristo. Il risultato è il disordine, poiché solo nel Regno di cristo si può ottenere una pace e una giustizia.
È certo affermare che, se gli uomini possano volerlo o no, Cristo regnerà anche sulla terra e quando arriverà questo giorno, ogni re sulla terra risponderà a lui ed ogni ginocchio dovrà piegarsi.
Ora il Signore nella sua grande pazienza e bontà attende e sicuramente con questa grande opposizione a lui, compie questa attesa nel dolore. Sforziamoci dunque di far sì che Cristo Regni innanzi tutto in noi, nelle nostre menti, nel nostro intelletto, il quale deve essere sottomesso a Lui, che è Verità e Luce.
Così la nostra volontà sarà ubbidiente alla sua divina volontà, ma per poter ottenere tutto questo dobbiamo rivolgerci a colei che è nostra madre, Regina dell’Universo (regina, proprio perché è la più sottomessa a Lui, a Cristo) Maria Santissima, perché con il suo aiuto apriamo il nostro intelletto, i nostri cuori, le nostre volontà, affinché Cristo possa veramente regnare in noi.
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Mihi autem nimis honorati sunt del 18-10-2020

Mihi autem nimis honorati sunt del 18-10-2020. Celebra don G. Lenzi

di redazione

Domenica 18-10-2020, presso la Chiesa di San Cristoforo (Via D’Argillano n.21 – 63100 AP), il nostro Coetus Fidelium Beato Marco da Montegallo è stato ospitato dalla Confraternita della Buona Morte del Priore Giancarlo Tosti, per celebrare il rito romano straordinario nella forma cantata, con don Giorgio Lenzi, presbitero dell’Istituto Buon Pastore e Procuratore Generale per lo stesso con la Santa Sede.
Hanno partecipato alla Santa Messa come servizio all’altare il cerimoniere Lodovico Valentini, il chierichetto Giuseppe Baiocchi e il turiferario Alessandro Grilli. Al canto il Maestro gregoriano Guillaume Boulay.
La saggezza plurisecolare della chiesa, fa prevalere in questa liturgia le feste degli apostoli e degli evangelisti, i quali prevalgono sul testo della Santa Messa domenicale. Per questo, domenica 18-10-2020, viene celebrata la festa del grande evangelista Luca: uno dei quattro autori del nuovo testamento.
Questa sovrapposizione del calendario, nulla toglie al pilastro della fede, ma rende giustizia alla celebrazione del Santo nel giorno del giusto culto a Dio.
La tradizione si fonda sulle dodici colonne, che sono i dodici apostoli e poi sui quattro evangelisti, di cui due sono del collegio apostolico, e due sono discepoli: quei santi quattro evangelisti che codificarono, secondo le disposizioni divine, i testi che saranno ritenuti infallibili dalla Santa Chiesa.
Anche se può apparire singolare, non tutto si trova nella Sacra Scrittura: la tradizione e la rivelazione – che si conclude con la morte dell’ultimo degli apostoli (San Giovanni) -, sono certamente più “ampie” della stessa Sacra Scrittura e costituiscono il tesoro della Dottrina Romana. Dunque tale celebrazione verso quegli uomini che per ordine divino presero carta e penna e scrissero la grandezza del Regno di Dio sulla terra, è sicuramente qualcosa di fondamentale.
Come ci afferma l’antifona introitale della Santa Messa di oggi: «I tuo amici Dio sono sommamente onorati, veramente forte è divenuto il loro principato».
Questa domenica del mese di ottobre è anche giorno missionale: dunque un tempo per riflettere sull’universalità del messaggio cristiano che è giunta in ogni punto della terra con la predicazione dell’opera della Chiesa.
Il libro del Nuovo Testamento, di cui San Luca è l’autore e poi il secondo volume Gli Atti Degli Apostoli sono fondamento della Nuova Alleanza e della Dottrina della Nostra salvezza: per questo gli Evangelisti sono costantemente in presenza dell’Altissimo, come narrato dalle visioni mistiche dell’Apocalisse. Non a caso San Giovanni affermò di vedere questi quattro esseri, che si trovano al cospetto di Dio costantemente. Questi quattro “esseri” non sono altro che la figurazione dei quattro Evangelisti, che hanno rivelato il Trono di Dio attraverso i quattro Vangeli.
L’arte cristiana li ha così consacrati: l’angelo per Matteo, il leone per San Marco, l’aquila per Giovanni e per il santo di oggi – San Luca – il bue. Non è certamente facile capire l’attribuzione di questi simboli. Per San Luca il significato zoomorfo è accomodatizio: il suo Vangelo inizia con la visione di Zaccaria (era un sacerdote) nel Tempio. All’interno del complesso religioso, venivano difatti sacrificati animali ed il sacrificio più grande consisteva nella scelta dei buoi.
Egli nacque ad Antiochia, da famiglia pagana ed esercitò la professione di medico (da qui l’appellativo a “medico delle anime e medico dei corpi”) e sarà il Santo capostipite di tutta una serie di Santi Medici venerati dalla tradizione cristiana.
Altre tradizioni su San Luca approvate dalla Chiesa, sono narrate dalla pietà dei cristiani e spesso immortalate in splendide opere d’arte. Quello che è sicuro è che l’evangelista Luca fu uomo di cultura, poiché lo percepiamo dal suo greco fluente ed elegante e dalla sua conoscenza della sacra scrittura in generale. La sua sapienza è individuabile anche dalla sua scrittura, similare agli storici greci del tempo: la sua capacità nel costruire discorsi verosimili, convincenti. Il suo Vangelo – scritto verosimilmente negli anni Settanta/Ottanta -, inizia con una dedica ad un certo Teofilo (personaggio illustre dell’amministrazione imperiale) apostrofandolo con il titolo di «Eccellentissimo», ma forse tale “Teofilo” non è mai esistito, ma esso diviene strumento del racconto per dedicare il Vangelo a tutti coloro che amano Dio: teofilo significa “colui che ama Dio”. Una sorta di personaggio che dovrebbe rappresentare tutti i cristiani, tutti i battezzati.
La tradizione artistica cristiana vede San Luca produrre le prime immagini della Madonna, sia in pittura che in scultura. Alcune famosissime e miracolose: dipinte sul legno dei mobili della Casa di Nazareth e la splendida vergine lauretana di Loreto, scolpita da San Luca nel legno degli ulivi del gezzello. Egli fu così in grado di dipingere e scolpire tutte le virtù e le qualità della Santa Vergine Maria.
Questa sua qualità artistica fu utilissima nella Chiesa, poiché verso l’VIII IX secolo si scatenò la crisi iconoclasta: in Oriente ci furono alcuni eretici che condannarono il culto delle sante immagini. Una guerra materiale, che produsse molti martiri, all’interno della quale, il suo essere anche artista aiutò la fazione retta a difendere il culto delle sante immagini.

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