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Le Lettere di San Paolo: sommità dell’apostolato e rivoluzione letteraria

di Daniele Paolanti 16-02-2020

«Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» La conversione di Saulo di Tarso è pressoché celeberrima e divenuta proverbiale, laddove si volesse fare riferimento ad un cambiamento radicale, improvviso, se non addirittura immantinente. Il genere letterario inaugurato dal più grande evangelizzatore della parola di Cristo ha dato la stura non soltanto all’assunzione della consapevolezza circa l’importanza dell’apostolato, ma finanche della spiccata e inedita percezione della Chiesa di Cristo (per utilizzare le parole del Santo Padre Francesco in Evangelii Gaudium) come una porta.

Michelangelo Merisi, La Conversione di san Paolo. Caravaggio, similmente alla crocifissione di San Pietro, fa grande uso della luce. Essa rappresenta sempre Dio, ma questa volta non è una luce che coinvolge tutti, bensì un solo uomo, Paolo appunto. Egli cade da cavallo, ma l’intervento divino permette al destriero di non calpestare il futuro santo. L’elmo cade dal capo di Saulo, a simboleggiare l’abbandono dell’uomo persecutore e la sua trasformazione in un uomo nuovo; le braccia si alzano al cielo, pronte ad abbracciare la missione che Cristo ha deciso di assegnargli. Il volto di Paolo non è quello di un uomo colpito da una tragedia, da un atto violento, bensì di una persona serena che sembra quasi dormire, mentre cerca di carpire il mistero della divinità. Le palpebre scendono lentamente sugli occhi e non si corrucciano, rifiutando così la chiamata, ma rimangono distese, pronte ad accogliere la missione del Signore.

La Chiesa, con Paolo, inizia ad estendere le sue braccia nei confronti di chiunque, indipendentemente dalla predisposizione all’accoglimento del messaggio.
L’apostolato di San Paolo, autoproclamatosi l’apostolo dei Gentili (così ex se dixit almeno nella lettera ai romani ed ai galati), proprio in ragione alla sua attitudine a rivolgersi non ai singuli ma alle gentes, ha manifestato la sua imponenza sia per i viaggi condotti dall’alfiere del Vangelo, prodromici a diffondere la Parola in ogni angolo del mondo, ma anche e soprattutto per l’amplissima diffusione della sua opera. Nella lettera ai romani, capolavoro supremo della produzione paolina, è lo stesso Saulo/Paolo ad esprimere il desiderio, che manifesterà ai suoi interlocutori (i romani), di poter un giorno incontrarli e renderli partecipi del Vangelo, conversando direttamente con loro. Risulta difatti prontamente percettibile come il genere letterario di cui Paolo di Tarso si avvalga sia, quantomeno, eccentrico, almeno per l’epoca. Nel periodo storico in cui Paolo visse, le epistolae erano indirizzate ad un unico destinatario/interlocutore (tuttavia giova rammentare come anche Paolo seguirà questo specifico paradigma nelle cc.dd. “lettere pastorali”), sebbene in effetti già in Grecia si fosse diffusa l’abitudine, tra i seguaci di Epicuro, di indirizzare lettere ad una pluralità di soggetti, individuati perlopiù in base alla comune appartenenza etnica o (come nel caso degli epicurei) ideologica. Ripercorrere la vita di San Paolo è un’operazione ardua, dacchè le fonti sono estremamente scarne (se ne offre debito, anche se frammentario, conto negli Atti degli Apostoli) e la remota area geografica in cui questi visse la prima parte della sua vita, la città di Tarso nella Cilicia (attuale area meridionale della Turchia), non ha agevolato il recupero di tutti gli scritti. Anzi. Tra gli esegeti sono sorti numerosi interrogativi pertinenti l’autenticità di alcuni di essi.
Come riferito in premessa non è operazione agevole ricostruire, in integrum, la vita di San Paolo, proprio per le contingenze storico-geografiche di cui sopra si è offerto rapido cenno. Si presume, attenendosi pedissequamente alle (poche) fonti, che questi sia vissuto nell’arco temporale intercorrente tra il 5-10 d.C. ed il 64-67 d.C.
Saulo nacque a Tarso, nella regione della Cilicia. Era cittadino romano per nascita e, su questo specifico privilegio (cives romanus sum era il motto di presentazione dei cittadini romani, ma anche indice del godimento di innumerevoli guarentigie ed agevolazioni, sia politiche-civili che fiscali), non è dato conoscere molto. Sono state elaborate diverse teorie al riguardo, di cui la più accreditata, almeno per chi scrive, risulterebbe essere quella per la quale Paolo fosse divenuto Cives perché il padre di Paolo, fabbricatore di tende, si distinse per il commendevole supporto ed ausilio offerto all’esercito romano durante una campagna militare di Cesare, Antonio o Pompeo e ottenne, di tal guisa, la cittadinanza. Quel che è certo è, comunque, che fosse cittadino romano per nascita. Inoltre dalla produzione paolina è possibile apprendere (in argomentum v. lettera ai Romani ed ai Filippesi) che egli fosse ebreo e appartenente alla tribù di Beniamino, ovvero il dodicesimo ed ultimo figlio di Giacobbe (Rm 11, 1 – Fi 3,5). Non deve tuttavia sorprendere che un abitante della Cilicia appartenesse alla tribù di Beniamino. Infatti si potrebbe, ab inverso, opinare sostenendo che l’area territoriale corrispondente a questa tribù fosse sita nella Palestina, a nord di Gerusalemme, tra la Giudea e la Samaria (e non nella Cilicia). Tuttavia si comprende la normalità della circostanza avuto riguardo al fatto che anche Gesù e Giuseppe, che vissero a Nazareth (sita nella parte settentrionale della Palestina) appartenevano alla tribù di Giuda e della casa di Davide (territorialmente rispondente alla parte meridionale della Palestina). Sicuramente Paolo apparteneva al novero degli ebrei che osteggiavano la neo istituita Chiesa di Cristo, tanto da divenire egli noto come un persecutore dei cristiani.
Altro dato conosciuto è che Paolo fosse nato sì a Tarso, ma fu mandato a Gerusalemme, dove ricevette un insegnamento rigoroso della Legge presso il rabbino Gamaliele il Vecchio. Saulo (canonizzato Paolo) non assistette personalmente alla predicazione di Gesù, ma vi entrò in contatto solo a seguito della sua Passione. Paolo era un fariseo, quindi, che prese parte finanche alla lapidazione di Santo Stefano (primo Martire) dacchè è dato leggere negli atti degli apostoli che «[1]Saulo era fra coloro che approvarono la sua uccisione. In quel giorno scoppiò una violenta persecuzione contro la Chiesa di Gerusalemme e tutti, ad eccezione degli apostoli, furono dispersi nelle regioni della Giudea e della Samaria. [2]Persone pie seppellirono Stefano e fecero un grande lutto per lui. [3]Saulo intanto infuriava contro la Chiesa ed entrando nelle case prendeva uomini e donne e li faceva mettere in prigione» (At 8, 1-3).
In ragione della missione dal medesimo perpetrata, individuare e perseguitare i cristiani promotori della neo istituita Chiesa di Gesù Cristo, si spostò alla volta di Damasco, dove avrebbe dovuto (rectius: voluto) imprigionare i cristiani opponendosi strenuamente alla loro professione di fede: «[1]Saulo frattanto, sempre fremente minaccia e strage contro i discepoli del Signore, si presentò al sommo sacerdote [2] e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco al fine di essere autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme uomini e donne, seguaci della dottrina di Cristo, che avesse trovati» (At 9, 1-2).
Saulo intraprese quindi la strada che lo avrebbe condotto a Damasco ove, folgorato da una Luce che lo privò finanche della vista, avvertì il monito divino che lo redarguiva su quanto stesse operando: «[3] E avvenne che, mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco, all’improvviso lo avvolse una luce dal cielo [4] e cadendo a terra udì una voce che gli diceva: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?” [5] Rispose: “Chi sei, o Signore?” E la voce: “Io sono Gesù, che tu perseguiti! [6] Orsù, alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare”» (At 9, 3-7). Gli uomini che circondavano Paolo, ammutoliti dall’evento, lo condussero a Damasco ove rimase privo della vista per tre giorni, durante i quali non mangiò né bevve. Sempre a Damasco, vi era un discepolo di nome Anania il quale, secondo quanto riferito negli Atti degli Apostoli, avrebbe ricevuto l’invito del Signore – in una visione – a recarsi sulla strada chiamata Diritta e cercare nella casa di Giuda un tale che aveva nome Saulo di Tarso. Anania accolse l’invito con titubanza, avendo saputo chi Saulo fosse e, soprattutto, essendo questi a conoscenza dell’autorizzazione rilasciata dai sommi sacerdoti di arrestare tutti quelli che invocano il nome di Gesù. Il Signore però gli disse: «Va’, perché egli è per me uno strumento eletto per portare il mio nome dinanzi ai popoli, ai re e ai figli di Israele; [16] e io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome» (At 9, 15-17). Allora Anania andò, entrò nella casa indicatagli e impose le mani su Saulo proferendo le parole: «Saulo, fratello mio, mi ha mandato a te il Signore Gesù, che ti è apparso sulla via per la quale venivi, perché tu riacquisti la vista e sia colmo di Spirito Santo». Dagli occhi di Saulo caddero sedimenti che erano come delle squame, così riacquistò la vista, prese cibo e bevande e recuperò le forze.

El Greco, San Paolo, olio su tela -1600.

Ha così inizio la prima predicazione di Saulo a Damasco, il quale incominciò la sua evangelizzazione con entusiasmo raccogliendo però il malcontento dei pagani i quali, meditando di ucciderlo, lo costrinsero per tali nefandi propositi a fuggire verso Gerusalemme. Anche in questa città Saulo avviò un intenso percorso di evangelizzazione, pur non riscuotendo molto favore tra la popolazione, memore quest’ultima della persecuzione posta in essere da Paolo nei confronti dei Cristiani. Il successo della predicazione paolina a Gerusalemme trovò scaturigine dall’intermediazione operata da Barnaba (un apostolo originariamente noto con il nome di Giuseppe di Cipro di cui è ignota la data di nascita ma si ipotizza morì a Salamina nel 61 d.C: è tradizionalmente considerato il primo vescovo di Milano). Grazie proprio all’intervento di questi ed ai suoi buoni offici, Saulo venne accolto e poté così iniziare la sua opera di conversione. Tuttavia Paolo rimase a Gerusalemme per soli quindici giorni poiché, pur avendo tentato qualche conversione la sua presenza nella Città turbava profondamente i giudei e impensieriva i cristiani. Questo periodo della sua vita è infatti riportato negli Atti degli Apostoli ove si legge che «[26] Venuto a Gerusalemme, cercava di unirsi con i discepoli, ma tutti avevano paura di lui, non credendo ancora che fosse un discepolo. [27] Allora Barnaba lo prese con sé, lo presentò agli apostoli e raccontò loro come durante il viaggio aveva visto il Signore che gli aveva parlato, e come in Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù. [28] Così egli poté stare con loro e andava e veniva a Gerusalemme, parlando apertamente nel nome del Signore [29] e parlava e discuteva con gli Ebrei di lingua greca; ma questi tentarono di ucciderlo. [30] Venutolo però a sapere i fratelli, lo condussero a Cesarèa e lo fecero partire per Tarso» (At 9, 26-30).
Da Cesarèa Paolo tornò così alla sua città di Tarso ma, quivi, si interrompono le notizie biografiche sulle quali ci si può esprimere con certezza. Saulo tornato a Tarso lavorò come tessitore finché Barnaba (indicativamente nell’arco temporale che va dal 39 al 43 d.C.), inviato dagli apostoli ad organizzare la nascente comunità cristiana di Antiochia, passò da lui invitandolo a seguirlo.
A seguito dell’invito di Barnaba ed assunta coscienza della sua missione nel mondo, ovvero di diffondere la Parola non soltanto tra gli ebrei ma anche tra i cc.dd. gentili (v. supra), abbandonò per sempre il nome di Saulo per assumere quello di Paolo e fu ad Antiochia che i discepoli di Cristo furono denominati per la prima volta come “cristiani”.

Benjamin West, Pala della Conversione di S. Paolo, 1786, Dallas Museum of Art, Dallas.

Nel Nuovo Testamento le lettere seguono i vangeli e precedono l’Apocalisse di San Giovanni. Le lettere che recano, nell’intestazione, il nome di Paolo, sono tredici: quelle rivolte alle chiese, nelle Bibbie moderne, precedono quelle rivolte ai singoli individui. Le lettere sono perlopiù ordinate secondo la loro lunghezza ed alle tredici mentovate è stata poi aggiunta la Lettera agli Ebrei (ndr la lettera agli ebrei non reca nell’intestazione il nome di Paolo).
Per quanto riguarda la loro disposizione o, meglio, la loro classificazione, le lettere paoline possono essere preliminarmente divise in due categorie: quelle principali, ovvero la lettera ai Romani, le due lettere ai Corinzi ed ai Galati e poi quelle della prigionia, che sono le quattro in cui Paolo dice di sé di essere in catene (lettera agli Efesini, ai Filippesi, ai Colossesi e Filemone). A queste due grandi categorie si aggiungono quelle lettere che, a partire dal XVIII secolo sono state definite “lettere pastorali”, perché indirizzate a responsabili di comunità cristiane: sono, in species, le due lettere a Timoteo e quella a Tito.
A partire dal XIX secolo sono sorti dubbi circa l’autenticità di talune delle lettere paoline, tant’è che, sebbene oggi l’esegesi sia unanimemente concorde nel ritenere che sicuramente sette lettere sono da attribuirsi certamente a Paolo (Romani, 1 e 2 dei Corinzi, Galati, Filippesi, Tessalonicesi e Filemone, che furono scritte indicativamente tra gli anni 50 e 60 d.C.) dubbi permangono sulla paternità della lettera agli Efesini e quella ai Colossesi, nonché sulla 1 e 2 di Timoteo e la lettera a Tito. Proprio avuto riguardo a queste ultime lettere di cui si è offerta contezza può operarsi un’ulteriore distinzione, ovvero quelle ad alto contenuto ecclesiologico e quelle pastorali (che sono 1 e 2 Timoteo e la lettera a Tito). Parte della dottrina, proprio opinando circa i caratteri linguistici e stilistici (oltreché teologici) rispetto alle sette lettere sicuramente autentiche, ritiene che le altre possano ritenersi appartenenti comunque alla tradizione paolina ed essere considerate pseudepigrafe, attribuite cioè a Paolo dai suoi discepoli che hanno conservato vivo l’insegnamento a seguito della morte del loro Maestro (ndr talvolta alcuni teologi le qualificano come deuteropaoline). Sono comunque in molti a credere che tutte (o gran parte) possano essere attribuite a Paolo, soprattutto in ragione della sua autorità apostolica.
Paolo sicuramente scrisse anche molte altre lettere che sono però andate perdute. La produzione letteraria paolina fa comunque riferimento alla vita delle comunità cristiane, con il proposito di renderle più vicine e obbedienti al Vangelo, pur presupponendo una vita ecclesiale da cui traggono origine. Nelle lettere si trovano infatti sia l’attività di evangelizzazione compiuta da Paolo ma anche elementi liturgici, brani catechetici, citazioni e spiegazioni della Scrittura.
Il corpus paolino è poi seguito da sette lettere chiamate “cattoliche”: Giacomo, 1-2 Pietro, 1-2-3 Giovanni e Giuda. Verosimilmente la disposizione delle sette lettere è quella dettata dai tempi in cui sono menzionati i tre apostoli in lettera ai Galati 2, 9 (cui viene aggiunto Giuda, fratello di Giacomo. L’appellativo di “lettere cattoliche” trovò diffusione già nel IV secolo (come testimonia tra l’altro Eusebio di Cesarea) ed erano indirizzate non ad una Chiesa particolare, ma a tutti i cristiani in generale. Tra esse una menzione particolare merita la lettera a Giovanni, dacchè essa difetta del tutto di quegli elementi tipici di una “lettera”, infatti mancano i destinatari (talvolta è data intuirne l’esistenza mediante l’impiego del “Voi”) che non sono noti né individuabili in modo diretto.
 

Raffaello Sanzio, Predica di san Paolo (1515-16).

L’apostolato di San Paolo e la sua produzione letteraria si sono rivelati indice di due distinti profili di indiscutibile rilievo teologico: la redenzione, sintomo dell’opera della Misericordia e, con ineludibile evidenza, perifrasi del Disegno divino; in secondo luogo la necessaria evangelizzazione cui ciascun cristiano è chiamato, affinchè abbia a ritenersi esso stesso una porta dischiusa alle genti, un’inesauribile ed incontenibile desiderio di diffondere la Parola non soltanto tra i Cristiani ma finanche tra i “gentili”.
La secolarizzazione, il modernismo, l’omologazione sociale ed il desiderio mimetico (per parafrasare René Girard) hanno integralmente ridefinito il quadro antropologico del mondo, ponendo sovente il cristiano nella condizione di sentirsi una cellula smarrita in un mondo di gentili. Ma il coraggio paolino, manifestato a Damasco, a Gerusalemme e Cesarèa, ci ricordano che quotidie siamo chiamati al confronto anche con realtà diverse, per riconoscere che il Corpo Mistico di Cristo, la Chiesa, è la porta che unisce le diversità ed accomuna i fedeli sotto il Sangue di Gesù e all’ombra della Sua divina Croce, ogni fedele troverà la forza di stendere le sue lettere..

 

Per approfondimenti:
_Le Lettere di Paolo. Nuova versione ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana, San Paolo Edizioni, 01 giugno 2014;
_Paolo. Da Tarso a Roma, il cammino di un grande innovatore, Romano Penna, Il Mulino, 7 maggio 2015;
_Paolo di Tarso: le lettere. Chiavi di lettura, Andrea Albertin, Carocci, 19 maggio 2016;
_Atti degli Apostoli, C. M. Martini, San Paolo Edizioni, 14 dicembre 1995;
_Evangelii gaudium. Esortazione apostolica, Francesco (Jorge Mario Bergoglio), San Paolo Edizioni, 20 novembre 2013;
_La Sacra Bibbia – CEI, reperibile presso https://www.maranatha.it/Bibbia/5-VangeliAtti/51-AttiPage.htm.
 

© Coetus Fidelium Beato Marco da Montegallo – Riproduzione riservata

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