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Ómnis terra adóret te del 16-01-2022. Di don Giorgio Lenzi (IBP)

di redazione

Riportiamo le foto della Santa Messa di domenica 16-01-2022, presso la Chiesa di San Cristoforo (Via D’Argillano n.21 – 63100 AP). Il nostro Coetus Fidelium Beato Marco da Montegallo è stato ospitato dalla Confraternita della Buona Morte del Priore Giancarlo Tosti, per celebrare il rito romano antico nella forma cantata, II Domenica dopo l’Epifania (Ómnis terra adóret te) con il nostro regolatore Don Giorgio Lenzi (IBP) sacerdote dell’Istituto Buon Pastore e Procuratore Generale per lo stesso con la Santa Sede. Al servizio all’altare Giuseppe Baiocchi (chierichetto), all’organo il Maestro Lisa Colonnella, mentre come cantore abbiamo avuto il Maestro Massimo Malavolta. 
Dall’Omelia don Lenzi ci parla di come in questi giorni, nella liturgia della Chiesa, dopo le feste di Natale la Chiesa non può proporre altri testi se non quelli che sono la continuazione di ciò che abbiamo celebrato il giorno dell’Epifania. In effetti in tale festività decorsa, nella celebrazione dell’arrivo dei Magi (miracoli epifanici) con questa manifestazione del Signore ai grandi della terra, esistono tre grandi manifestazioni della divinità del Figlio di Dio. Questi tre miracoli, secondo la tradizione della Chiesa, vengono celebrati il sei Gennaio, proprio perché avvennero tutti in quella data specifica. Tali miracoli, riassunti nel Magnificat epifanico, sono la stella che condusse i Magi al Presepe; il vino che fu prodotto a partire dall’acqua durante un matrimonio a Cana di Galilea; ed infine nel Giordano il Cristo che ebbe il Battesimo in vista della nostra salvezza. Dunque la Chiesa non potendo leggere tutti i testi relativi a questi tre miracoli, li divide nei giorni successivi.
Dunque in questa seconda Domenica dopo l’Epifania, si racconta dell’intervento miracoloso che vide il Cristo nel contesto del banchetto di nozze di alcuni amici che lo avevano invitato nella località di Cana di Galilea – forse furono le nozze di San Giovanni (che poi diventerà l’apostolo amatissimo e più giovane). Se con il primo miracolo, ovvero della Cometa, si percepisce l’importanza della natura divina del suo Creatore; se durante il battesimo di penitenza (non era certo un sacramento) che riceve dalle mani di Giovanni Battista, il Cristo ci indica la sua volontà della sua scelta; nel miracolo di questa domenica, seppur di carattere materiale, il Cristo ci invita alla riflessione: il vino alla tavola degli invitati era terminato ed egli tramutando l’acqua in vino esaudisce il desiderio degli ospiti del banchetto. L’evento è un momento positivo della vita dell’uomo, poiché il matrimonio è inscritto nella vita naturale ed è benedetto da Dio, quanto atto naturale dell’umanità. L’uomo, così come è scritto nella sacra scrittura, lascerà suo padre e sua madre e si unirà ad una donna e in un altro passaggio è anche scritto “crescete e moltiplicatevi” e quest’ultima parola ci deve far comprendere come il tutto sia regolato fra l’unione tra uomo e donna.
Da qui, con la fondazione della Chiesa, il matrimonio diventerà uno dei sette sacramenti: ovvero uno dei sette principali canali della grazia divina. Secondo alcuni teologi, con le nozze di Cana, il Cristo istituisce il sacramento del matrimonio, elevando la naturale unione ad una unione di santità. Da questo momento la Madonna si fa mediatrice fra l’umanità bisognosa, non solo di esigenze spirituali, ma piena di necessità materiali, sollecitando la potenza di Dio anche in alcuni elementi della vita ordinaria, ma che sono necessarie e che possono apparire difficili in un dato momento. La mutazione dell’acqua e del vino rivela la potente intercessione di Maria (advocata nostra) e il potere divino di Cristo che è Signore del Creato. L’evento può anche essere letto come un’anticipazione simbolica di quel miracolo spirituale che è fondamentale nel culto della Chiesa e che è il sacramento della produzione dell’Eucarestia: la transustanziazione che si ripete sui nostri altari, dove la sostanza del pane e del vino, grazie al potere della Chiesa muta nella sostanza del corpo e del sangue di Nostro Signore.
Difatti il piano di Dio è scritto per l’eternità, da sempre. Questa caratteristica è fondamentale: il Signore, Verbo incarnato, è cosciente del suo ruolo di salvatore dal primo istante. Conosce tutto dal presepe, fino alla Croce, conosce tutta la storia dell’umanità e della Chiesa ed in ogni singolo istante, egli sa cosa accadrà. Non esiste in Cristo una presa di coscienza progressiva del suo ruolo. E questo è fondamentale. Purtroppo oggi serpeggia una idea cristiana opposta a questa verità di fede, ed essa è di natura protestante. Questa visione distorta vuole vedere il Cristo come un uomo come tutti gli altri, che diversamente piano piano si rende conto che ha un ruolo sociale importante, che forse è anche aiutato da alcune entità spirituali ad essere buono o gentile. Ebbene questo non è il Gesù Cristo cristiano, non è il Gesù Cristo del Vangelo. Infine vi è la teoria del Cristo che si scopre Messia a poco a poco e chiaramente anche parzialmente abbracciata dalla teologia modernista e tale errore viene continuamente ribadito sulla consapevolezza di una “coscienza cristica” quasi da supereroe dei fumetti.
Secondo questi teologi, secondo molti cristiani, il Cristo Nostro Signore, si risveglia sempre più Messia, come se non lo fosse dal primo giorno quando la Madonna ha detto “si”! e lo Spirito Santo si è incarnato nel suo ventre. Naturalmente è una assurdità che distrugge l’idea della divinità cosciente di Gesù, l’idea del piano della provvidenza, che ha un inizio preciso. Viene distrutta, da questa tesi, anche l’idea della redenzione volontaria: difatti il Cristo si troverebbe in una serie di eventi che lo conducono poi forse sulla croce per noi, quando invece tutto ciò era stato previsto da Dio Padre e dallo Spirito Santo. Spesso, ancora, si sente dire – anche da grandi ecclesiastici – che Cristo muore da laico, che il Cristo non aveva sacerdozio, che il Cristo sulla croce non ha offerto sacrificio, ma il miracolo delle nozze di Cana, ci insegna esattamente il contrario: ci insegna che Cristo è esattamente padrone della sua onnipotenza divina, per quanto velata (da ragioni di convenienza) dalla natura umana. Difatti se il Cristo si fosse manifestato dal primo giorno della sua onnipotenza divina, tutti coloro che erano presenti, non avrebbero nemmeno avuto il coraggio di avvicinarsi. Per questo vi è una pedagogia di insegnamento, di trasmissione e di svelamento progressivo, ma c’è una coscienza fin dal primo istante di questo potere.
Per questo il Cristo accetterà che i grandi della terra (i Magi) si mettano in ginocchio e gli offrano oro, incenso e mirra, davanti a suo cugino Giovanni Battista e davanti alla folla che assiste al suo battesimo e che vede il cielo aprirsi e la colomba discendere e la voce di Dio pronunciarsi in quel momento sulla divinità del Figlio. Il Cristo sa che è Dio, non scopre niente dalle sue tappe della sua vita, siamo noi che lo scopriamo attraverso le tappe della vita, quando lui decide di manifestarsi per insegnarci qualcosa o svelarci i tesori della vita spirituale, della salvezza o della Grazia Divina. Quanta grazia e quanta santità ognuno di noi può imparare da queste sacre pagine della liturgia odierna, utile per capire le verità di fede. Un coraggio che si scontra contro le avversità del mondo moderno.

 

 Coetus Fidelium Beato Marco da Montegallo – Riproduzione riservata

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