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Réquiem aetérnam dona eis, Dómine del 02-11-2020. Don A.Leonesi

di redazione

Lunedì 02-11-2020 alle ore 20:30, presso la Chiesa del Sacro Cuore (Chiesa dei Sacconi) presso Via Filippo Corridoni, 10, 62029 Tolentino (MC) si è svolta la Messa Cantata in rito romano antico organizzato dalla Venerabile Confraternita del Sacro Cuore di Gesù di Tolentino a cui il Coetus Fidelium “Beato Marco da Montegallo” ha partecipato.
Ha celebrato la Santa Messa il Vicario generale della diocesi di Macerata Don Andrea Leonesi, aiutato dal cerimoniere Edoardo Belvederesi, Fabrizio Diomedi (chierichetto) e Bruno Fianchini (Turiferario). Il coro ha visto la presenza di Lodovico Valentini, Andrea Carradori e Giuseppe Baiocchi.
Il Messale di San Pio V, nella Commemorazione dei fedeli defunti e durante le cerimonie funebri, prevede l’assoluzione al tumulo eretto sopra un catafalco. Ma cos’è il catafalco e perché veniva utilizzato? L’Etimologia del termine “Catafalco” è alquanto incerta: gli esperti propendono che derivi dal latino “captare” (catturare lo sguardo) e da “palco” (luogo elevato e visibile).

In questa foto, esempio di catafalco presso la Chiesa della Trinità dei pellegrini a Roma. In sostanza il Catafalco era una “costruzione in legno” formata da una base a “tronco di piramide” rivestita solitamente di tessuto nero damascato con ricamo a rilievo di “teschi con tibie incrociate” e “clessidre alate”, simbolo per i cristiani dell’inesorabile trascorrere del tempo della dissoluzione del corpo dopo la morte. Questa base poi, di solito, era sormontata da una bara (logicamente senza salma) sul cui coperchio veniva ulteriormente innestata una sfera dorata (sempre di legno) sulla cui sommità svettava una scultura lignea a forma di “colomba con le ali aperte”. Il tutto poteva misurare in altezza mediamente sui 5 o 6 metri e in larghezza 3 o 4 metri.

Quello che doveva colpire il fedele era la “verticalità” che aveva il compito di dare il senso di ascesa al cielo del defunto. Ai lati del Catafalco, come buona regola, venivano posti vari candelabri d’argento o d’ottone, ed a seconda della solennità, potevano variare da 8 a 12, intervallati da uno spazio sufficiente ad ospitare un vaso solitamente adornato di crisantemi. Veniva disposto davanti all’altare o nella navata principale della chiesa; talvolta era sostituito da un semplice drappo nero, detto coltre funebre. Questo completo addobbo funerario, veniva allestito principalmente durante l’Ottavario dei Defunti dal 2 al 9 novembre o in occasioni particolari come la morte di un Pontefice o del Patriarca. Accanto al Catafalco, durante l’Ottavario dei Morti, veniva posto anche un “mastodontico leggio” elevato da una pedana, affiancato da un gigantesco candelabro a più braccia sul quale ardevano perennemente dei ceri. Ogni sera alla funzione, un “cantore” proclamava in lingua latina la “salmodia funebre” con melodia gregoriana e al termine di ogni salmo veniva spento un cero dal candelabro. Nei funerali invece, l’apparato veniva ridotto alla sola base troncoconica dove veniva adagiata la bara con il defunto, rimanevano però i candelieri le aste e il Crocifisso che facevano parte dell’addobbo detto “ordinario”. In più venivano “listate a lutto” le colonne della chiesa e drappeggiate con damaschi neri.
Con la Riforma Liturgica post-conciliare, tutte queste forme di “esteriorità scenografiche” sono state completamente sostituite da una Liturgia più “sobria” e più consona alla celebrazione stessa. Infatti il 2 Novembre, l’ottava dei defunti e negli anniversari funebri, non c’è la minima traccia , nelle nostre chiese, dell’ imponente catafalco. Tutto viene sostituito dal Cero Pasquale, simbolo di Cristo Risorto. Come Cattolici crediamo fermamente nella risurrezione di Cristo e quindi anche nella risurrezione dei nostri corpi, ma il significato in gioco è differente. Il catafalco non toglie nulla alla verità della Resurrezione, anzi, ci presenta un’altra verità che è quella della morte e del suffragio come necessario per la liberazione delle Anime dei defunti dal Purgatorio.
La società moderna fugge il dolore, la morte, quindi il catafalco suscita angoscia, malumore, spavento: da qui la sua dipartita.
La stessa sorte è capitata ai paramenti neri, che il Messale Tridentino obbligava a indossare per le messe funebri e il Venerdì Santo. Anche se il l’Ordinamento del Messale Romano (di Paolo VI) non elimina il colore nero dei paramenti liturgici. Vediamo cosa dice: Il numero 346 dell’Ordinamento in vigore afferma con forza: “Riguardo al colore delle sacre vesti, si mantenga l’uso tradizionale”. L’uso tradizionale, in Italia, fino agli anni ’70 era (e sarebbe ancora), per i funerali e la commemorazione dei defunti, il nero.
Quindi, secondo il capoverso e) Il colore nero si può usare, dove è prassi consueta, nelle Messe per i defunti. Peccato che in tutto l’orbe latino sarebbe prassi consueta questo colore, a parte il Giappone che godeva già di un’eccezione, perché il colore del lutto in quel territorio è il bianco e non nero. Purtroppo, prima, il paragrafo d) aveva introdotto già di fatto l’opzione del viola: d) Il colore viola si usa nel tempo di Avvento e di Quaresima. Si può usare negli Uffici e nelle Messe per i defunti. Quasi la totalità dei sacerdoti utilizza il colore violaceo per le messe funebri, perché il nero, come già detto, impressiona.
Infatti si sente spesso dire: “è lugubre, fa pensare alla morte, ma noi celebriamo la risurrezione, mica la morte!”. Allora – se proprio fosse veramente questa la motivazione – si abbia il coraggio di passare direttamente al bianco, come fanno negli Stati Uniti, dove tutti i cattolici ormai sono sepolti con il colore dei Santi e dei Beati confessori. Il viola invece dice piuttosto “penitenza”. Il viola dice “attesa” (Avvento): oramai, per il caro trapassato, è tardi per attendere, non aspetta più nulla, l’incontro è già in atto. Il viola – infine – nell’unione di blu e rosso parla dell’unione fra divino e umano: ma nel defunto noi vediamo invece la separazione dell’anima dal corpo, dove lo spirito torna al creatore e il corpo alla terra. Il viola, dunque, non possiede le proprietà simboliche per significare principalmente la morte, né la speranza della risurrezione, che risplende per contrasto con la morte.

Se invece si ha la fortuna di possedere nell’armadio della propria chiesa qualche pianeta funebre di un tempo, si vedrà con sorpresa che i paramenti neri hanno una proprietà speciale. Sono sempre ricamati o intessuti di argento o d’oro. Proprio per motivi simbolici! Stanno a significare, con il linguaggio del colore che si usa solo per le occasioni funebri: tutto sembra nero, come la morte, la fine, la mancanza di vita, ma – invece – si intravvede sul nero la luce (oro e argento) che viene dalla speranza, anzi dalla certezza della fede nel Signore Risorto. E’ lui la luce che illumina e anzi risalta meglio sullo sfondo oscuro della presente situazione di morte, lutto e distacco.

Il Vicario generale ha ricordato come l’evidenza del catafalco al centro della navata unica della Chiesa, ci ricorda i nostri cari defunti. In questa liturgia Réquiem aetérnam dona eis, Dómine si sottolinea questo ricordo e non a caso i paramenti neri della pianeta del presbitero sono ancora una volta monito di riflessione. Tali segni aiutano il fedele ad entrare in un grande mistero: per questo la commemorazione di tutti i fedeli defunti, deve ricordare a tutti noi che moriremo. Questo fattore può relativizzare molti degli eventi che l’uomo vive, fino a farci enunciare che la morte in realtà non esiste: il catafalco nero non ha nessun corpo sopra, poiché Cristo ci ha liberati tutti. Come ci ricorda il Vangelo di oggi, tutti coloro che hanno udito la voce di Dio, vivranno. Ogni uomo è affidato a Gesù, perché lui ha assunto la natura umana, homo-homini-deus, ha avuto l’affido di ogni uomo sulla terra. Così quando moriamo non è “la morte” che viene a prenderci, ma il buon Dio e proprio per tale motivo, la morte assume un altro valore e da qui il parallelismo con la sua “non esistenza”.
La resurrezione pasquale che annuncia che “Dio è risorto! È davvero risorto!” deve essere enunciato con convinzione, poiché il mistero della morte aiuta, l’uomo a vivere con una consapevolezza e dignità diversa.
Proprio per questo in questa giornata particolare preghiamo per tutte quelle anime sante che sono in purgatorio e non in paradiso, poiché la festa dei Santi, appunto, è stata celebrata ieri. Con tali anime residenti nell’anticamera del paradiso, ecco che può avvenire un aiuto in preghiera per loro, anche acquistando un’indulgenza. Quest’anno Papa Francesco I, ha esteso a tutto il mese di Novembre, la possibilità di acquistare l’indulgenza facendo visita al cimitero, rendendo possibile ben trenta indulgenze per i nostri cari defunti. La morte così non diviene che un effimero passaggio di consegne, diviene evanescente fobia del mondo terreno.
Per questo non bisogna vivere questa giornata con la tristezza e nostalgia per i propri cari, ma con gioia, la stessa che ebbero i tre fanciulli (e l’angelo che li protesse) Sadràch, Mesàch e Abdènego all’interno della fornace ardente che l’imperatore Nabucodonosor fece preparare per loro dopo che i tre si rifiutarono di adorare la sua statua d’oro, per celebrare Cristo – così ci ricorda il profeta Daniele.
Chiediamo al Signore questa grazia e di farci vivere in pace questa festa che aiuterà, tramite le indulgenze, le sante anime del Purgatorio, che ancora attendono di entrare nella pienezza del Paradiso: che noi possiamo dunque entrare in questo grande mistero, unione profonda con Gesù Cristo, noi che possediamo le primizie dello spirito, attendiamo la redenzione del nostro corpo e l’esplosione dello Spirito Santo in noi.
Dies ìrae, dìes ìlla,/Solvet seclum in favìlla,/Teste David cum Sibylla./Quantus tremor est futùrus,/Quando Iùdex est ventùrus,/Cuncta stricte discussùrus./Tuba, mirum spargens sonum,/Per sepùlchra regiònum,/Coget omnes ante thronum./Mors stupèbit et natùra,/Cum resùrget creatùra,/Iudicànti responsùra./Liber scriptus proferètur,/In quo totum continètur,/Unde mundus iudicètur./Iudex ergo cum sedèbit,/Quidquid latet apparèbit,/Nil inùltum remanèbit./Quid sum miser tunc dictùrus?/Quem patrònum rogatùrus,/Cum vix iustus sit secùrus?/Rex tremèndae maiestàtis,/Qui salvàndos salvas gratis,/Salva me, fons pietàtis./Recordàre, Iesu pie,/Quod sum causa tuae viae,/Ne me perdas illa die./Quaerens me, sedìsti lassus;/Redemìsti crucem passus;/Tantus labor non sit cassus./Iuste Iudex ultiònis,/Donum fac remissiònis,/Ante diem ratiònis./Ingemìsco tamquam reus;/Culpa rubet vultus meus;/Supplicànti parce, Dèus./Qui Màriam absolvìsti,/Et latrònem exaudìsti,/Mihi quoque spem dedìsti./Preces meae non sunt dignae,/Sed tu bonus, fac benìgne,/Ne perènni cremer igne./Inter oves locum praesta,/Et ab haedis me sequèstra,/Stàtuens in parte dextra./Confutàtis malèdictis,/Flammis àcribus addìctis,/Voca me cum benedìctis./Oro supplex et acclìnis;/Cor contrìtum quasi cinis;/Gere curam mei finis./Lacrimòsa dies illa,/Qua resùrget ex favìlla,/Iudicàndus homo reus,/Huic ergo parce Deus;/Pìe Ièsu Dòmine,/Dòna eis rèquiem. Amen.
In quel dì che le Sibille,/E Davidde profetàr,/Si vedrà tutto in favìlle/L’universo consumar./Qual tremor, quale spavento/L’Orbe tutto assalirà/Quando il Dio del Testamento/Giudicante a lui verrà./Allo squillo della tromba/Ogni avel si schiuderà,/Onde il corvo e la colomba/Alla valle insieme andrà./Si vedran Natura e Morte/In un punto istupidir,/Quand’innanzi al Vivo, al Forte/Dovrà ognuno comparir./Si vedrà nel libro eterno/Il delitto e la virtù,/Onde il Cielo oppur l’Inferno/Avrà l’uom per quel che fu./Ora, il Giudice sedente/Fra le nuvole del ciel,/Ai secreti d’ogni mente/Toglierà l’antico vel./Fra l’orror di tanta scena/Qual soccorso implorerò,/Mentre salvo sarà appena/Chi da giusto i dì menò?/Tu che salvi chi s’aggrada,/Re tremendo in maestà,/Mi schiudi al ciel la strada,/Fonte eterno di bontà./Che per noi prendesti carne/Ti rammenta, buon Gesù,/Onde allor abbi a salvarne
Dall’eterna schiavitù./Per me fosti in croce esangue/Tra i dolor da capo a piè;/Il valor di cotanto sangue/Non sia vano allor per me./Concedimi il perdono,/Giusto giudice ed ultòr,/Pria che a’ piedi del tuo trono/Sperimenti il tuo furòr./Peccator qual io mi veggo,/Copro il volto di rossor:/Tu dunque a me ch’el chièggo,/Dà benigno il tuo favor./Da te assolta fu Maria,/Per te salvo fu il ladron,/Onde viva in me pur sia/La speranza del perdon./Le mie preci, Nume eterno,/Non son degne, e chi no ‘l sa?/Ma dal fuoco dell’Inferno/Tu mi scampa per pietà./Ti dai capri mi dividi,/Di cui fìa Satànno il re,/Onde a destra co’i tuoi fidi/Trovi grazia innanzi a Te./Condannati i maledetti/Alle fiamme ed ai sospìr,/Allor chiama co’ dilètti,/Alla gloria dell’Empìr./Il dolor che in questo seno/Il mio cor di già ammollì,/A pietà ti muova almeno/Nell’estremo de’ miei dì./Lagrimòso quel momento/Onde l’uomo peccator/Dall’ignìvomo tormento/Andrà innanzi al suo Signor./Fra l’orror di tanto scempio,/Mostra, Dio, la tua virtù;/E il tuo sangue a pro dell’empio/Tutto impiega, buon Gesù.
© Coetus Fidelium Beato Marco da Montegallo – Riproduzione riservata

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