
Santa Messa cantata in rito romano straordinario del 20-09-2020
20 settembre 2020 – Chiesa di San Cristoforo, Via D’Argillano n.21 – 63100 Ascoli Piceno
Celebra: Don Nicola Bux
Cerimoniere: Edoardo Belvederesi
Chierichetto: Giuseppe Baiocchi
Turiferario: Stefano Foracappa
Cantore: Lodovico Valentini
Organo: Francesco Angelini
Domenica 20-09-2020, presso la Chiesa di San Cristoforo (Via D’Argillano n.21 – 63100 AP), il nostro Coetus Fidelium Beato Marco da Montegallo è stato ospitato dalla Confraternita della Buona Morte del Priore Giancarlo Tosti, per celebrare il rito romano straordinario nella forma cantata, con don Nicola Bux, presbitero dell’arcidiocesi di Bari.
Ad aiutare il celebrante, il cerimoniere Edoardo Belvederesi, il chierichetto Giuseppe Baiocchi, il turiferario Stefano Foracappa, il cantore Lodovico Valentini e l’organista Francesco Angelini.
Don Nicola Bux ha incentrato la sua omelia su di una questione molto particolare: l’umiltà. Questa umiltà deve essere nostra amica, poiché siamo alla presenza di Dio. Guai, dunque, a mettersi in mostra davanti al Signore. Non possiamo non ricordare la parabola del Fariseo e del Pubblicano: il primo che ostentava davanti a tutti, mentre il secondo che dagli ultimi banchi si batteva il petto e chiedeva perdono.
Dalla parabola odierna il Signore ci dice la stessa cosa: quando sei invitato, non prendere i primi posti, mettiti all’ultimo, cosicché colui che ha compiuto gli inviti, ti inviterà a sua volta. Di contro, si potrebbe incorrere ad una ammonizione da parte del padrone di casa, di dover alzarsi di posto e recarsi negli ultimi banchi.
Quando ci si reca così a celebrare il culto, dai Ministri fino all’ultimo fedele, non bisogna ridurre la liturgia ad un mero teatro, né teatrino. Sia nel nuovo che nell’antico rito, questa è la tentazione principale: a partire dal prete. Il mettersi in mostra viene tuttavia stigmatizzato potentemente dal Signore. Come non ricordare le “parate” degli scribi e dei Farisei.
L’istituzione più sacra degli ebrei è il sabato, nel quale non era consentito nulla. Gesù pone così la questione: «è lecito curare un uomo il giorno di sabato»? Gli scribi e i farisei, sempre pronti ad appuntare tutti i precetti, restano così interdetti: proprio loro che “filtravano il moscerino e ingoiavano il cappello” erano sempre i primi a puntare il dito su colui che avrebbe voluto curare di sabato un malato. I farisei così si tacciono davanti alle parole di Gesù, forse per le loro troppe trasgressioni, tenute celate.
Bisogna stare attenti ad essere peggio dei farisei. Quale dunque il giusto comportamento? Ce lo dice S.Paolo: «radicati nella carità». Le radici del nostro atteggiamento davanti al Signore, devono affondare nel terreno della carità. Non a caso humus, umiltà sta a significare proprio il possedere la consapevolezza di mantenere sempre i “piedi per terra” poiché siamo fragili e siamo peccatori.
La perfezione delle cerimonie dell’antico rito non è ricercata per l’uomo, ma per Dio, il quale merita una celebrazione curata: non si tratta Dio come un inserviente. Le esposizioni al rischio di abusi liturgici nel nuovo rito, sebbene frequenti, non significano che i celebranti dell’antico siano “protetti” dal compimento di alcuni errori. Anzi il rischio è maggiore: un margine molto ristretto di soggettività, pone l’attenzione alla massima cura, la quale non deve sfociare dell’apparenza, ma nell’umiltà.
L’auspicio di don Nicola Bux verso il nostro Coetus Fidelium è essere esemplari nell’umiltà e nella carità. Essere comprensibili delle difettosità e delle fragilità altrui, perché tutto deve sempre partire da una comprensione delle nostre fragilità. Qui sta l’umiltà, poiché: «chi si esalta, sarà umiliato e chi è umile, sarà esaltato».